Napoli sull’orlo del crac: un mese per evitarlo, il rischio del commissario

Napoli sull’orlo del crac: un mese per evitarlo, il rischio del commissario
di Luigi Roano
Lunedì 10 Maggio 2021, 23:47 - Ultimo agg. 11 Maggio, 19:04
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Il crac, default, dissesto in una parola il fallimento è li ad un passo e questa volta salvarsi per il sindaco Luigi de Magistris - che a ottobre finisce il suo secondo e ultimo mandato - sarà più difficile del solito, anzi quasi impossibile, di più: ci vuole un miracolo. Mancano 270 milioni all’appello, è l’effetto della sentenza della Corte Costituzionale che ha cancellato lo spalmadebiti a 30 anni. Tornano i fantasmi delle multe non incassate e siamo sul mezzo miliardo. Ma soprattutto avanzano gli interessi dello Swap, cioè quando il Comune - non è l’epoca di de Magistris - si «vendette» il debito per incassare soldi subito e ora deve pagare gli interessi arrivati a quota 170 milioni. E come un consumato pockerista de Magistris prova a fare il bluff dei bluff. In queste ore messaggeri arancioni dicono che sarebbe pronto a dimettersi per intestarsi «la battaglia contro il debito ingiusto».

Messaggeri che fanno sapere che il suo gruppo lo sta mollando e potrebbe sciogliersi da un momento all’altro. Vero? Falso? Difficile dirlo.

Il punto è che l’eventuale mancata approvazione del bilancio che dovrebbe arrivare in Aula a metà giugno e l’arrivo del commissario farebbe saltare anche la sua candidatura a presidente della Regione Calabria. Meglio a questo punto dimettersi prima del crac... L’acqua è arrivata alla gola e la situazione peggiora sempre di più. Come sanno i lettori de Il Mattino, la sentenza della Corte Costituzionale che ha cancellato ogni possibilità di dilazionare il debito e spalmarlo sui prossimi 30 anni è una mazzata difficile da parare. Ma veniamo ai numeri. Il Comune è gravato da un debito che sfiora i 2,7 miliardi. L’aiutino «a gratis» arrivato a colpi di proroghe dei pagamenti varati dal Parlamento in maniera trasversale con leggi e leggine non è più una strada percorribile per la sentenza della Corte Costituzionale: come se ne esce? La Suprema corte ha stabilito che «l’orizzonte temporale» per saldare il debito deve essere quello di una consiliatura cioè 5 anni. Considerato che de Magistris sta da 10 anni a Palazzo San Giacomo e che il debito è di 2,7 miliardi e che a ottobre scade il suo mandato servono in aggiunta alla comoda rata di meno di 70 milioni che paga l’Ente per smaltire il debito, altri 270 milioni, cioè un decimo del debito complessivo. Che a palazzo San Giacomo lo si troverebbe solo in caso di Superenalotto, un sei pieno. Oppure ci deve pensare il premier Draghi. E ci sta pensando. Non perché Napoli sia speciale, ma perché è la punta di un iceberg dei conti malati degli enti locali. E il default degli enti di prossimità costerebbe a livello sociale molto in epoca pandemica. 

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Come matura una somma così ingente di disavanzo? Prima di approfondire vanno dette due cose: la prima che de Magistris ha ereditato 800 milioni di debiti, la seconda è che - ferme restando l’incapacità di riscossione delle tasse e di dismissione del patrimonio immobiliare da parte del Comune - negli ultimi 10 anni sono stati tagliati ben 2 miliardi di trasferimenti dallo Stato. Numerose le criticità tutte puntualmente rilevate dalla magistratura contabile che su Palazzo San Giacomo ha riempito una intera stanza di faldoni sia a Napoli che a Roma.

Di cosa si stratta? In particolare della dismissione del patrimonio immobiliare un clamoroso flop pur essendo la principale leva individuata per mettere a posto i conti. Il Comune aveva messo a bilancio incassi per circa 80 milioni ma ne sono arrivati nelle casse appena 7, stiamo parlando del bilancio 2019. «Il processo di dismissione - scrissero i Revisori dei conti all’epoca - costituisce una leva fondamentale del piano di riequilibrio; i notevoli ritardi accumulati nel conseguimento degli obiettivi contenuti nel piano hanno avuto ripercussioni evidenti e diretti sull’assorbimento della quota annuale del disavanzo complessivo». 

La riscossione dei tributi è ferma a una media del 45%. Fa come sempre sensazione la riscossione delle multe per violazione al Codice della strada. Ogni anno vengono appostati incassi per 126 milioni, ma nei forzieri di Palazzo San Giacomo entrano in media 19,5 milioni, un indice di riscossione pari al 15,5 per cento. Più semplicemente per ogni 10 euro di multe il Comune di euro ne incassa 1,5. La vicenda delle multe è emblematica perché si tratta di residui che superano il mezzo miliardo, soldi che non si incasseranno mai e che dopano - sostanzialmente - i bilanci. Se andiamo sui macronumeri e non solo sull’anno 2019 capiamo bene come si arriva ad accumulare un simile disavanzo. 

La Corte Costituzionale non è la prima volta che interviene sulla contabilità del Comune, un’altra bocciatura c’è stata appunto nel 2019 quando intervenne perché il Comune utilizzò 1,4 miliardi di anticipazione di liquidità dello Stato non per pagare le fatture ai creditori ma per abbattere il debito. Cosa significa? Che la metà del disavanzo è strutturale. A questa cifra si aggiungano altri 700 milioni di anticipazione arrivati da Cassa Depositi e Prestiti. Quindi il bubbone della mancata riscossione delle multe che vale tra i 400 e i 500 milioni.

Mette toppe il sindaco ma non risolve. E nodi sono venuti al pettine. Tutte le misure non strutturali per abbattere il debito si rivelano un boomerang come il taglio dei 75 milioni del 2020. Quando con quei soldi si dovevano assumere 1082 nuovi comunali. Fu l’effetto della prima sentenza della Suprema corte. Allora saltarono le assunzioni del personale, oggi in caso di fallimento salterebbe lui. 

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