Napoli, la debolezza di una città che sa solo litigare

di Vittorio Del Tufo
Venerdì 24 Agosto 2018, 08:00
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Al Gran Ballo delle parole sono invitati tutti. È stato il gioco di società di questa estate vacua, evanescente come le chiacchiere che si disperdono al vento, l'ennesima estate parolaia che si scioglierà, tra qualche settimana, in un nuovo autunno parolaio, dove vince (anzi non vince nulla) chi urla più forte, chi scredita di più i vecchi e i nuovi avversari, chi supera in diapason il frastuono e gli acuti della propria inconcludenza. Si trascina stanca, e parolaia, questa lunga e stucchevole disputa sullo stadio San Paolo. Apprendiamo dal presidente De Laurentiis che il San Nicola di Bari vale cento volte il San Paolo, capite? Non dieci, ma cento volte di più, apprendiamo anche che il merito sarebbe del sindaco Decaro, perché in questi quattro anni ha fatto interventi continui, interventi che il sindaco De Magistris, ahilui e ahinoi, non avrebbe invece effettuato, così che l'altra mattina, entrando nello stadio di Bari, DeLa ha pensato a DeMa e sospirato infelice: ah, avessimo anche noi a Napoli un primo cittadino così! E allora vediamo cosa sei in grado di fare lì a Bari - gli ha replicato l'assessore allo Sport Ciro Borriello, uno che avrebbe molto altro a cui pensare, tipo gli impianti sportivi che cadono a pezzi, o il rischio flop che continua a incombere sulle Universiadi - e vediamo se a Bari vinci lo scudetto! E ieri la polemica ha preso ulteriore vigore con il post del sindaco che andrà in curva ma non più accanto a DeLa in tribuna.

Ecco, questa continua invasione di campo, questo continuo gettare sassi sui binari altrui, non segnala solo, e per l'ennesima volta, quanto in basso sia precipitata la collaborazione istituzionale in una città che avrebbe bisogno di sinergie e sforzi congiunti.

Segnala una certa e furbesca propensione a deviare l'attenzione dalle proprie responsabilità e a dirottarle sugli altri, in un depistaggio ostinato e anch'esso continuo, e soprattutto molto autoassolutorio. Viene da pensare a una forma di strabismo, forse un vizio d'origine della nostra classe dirigente, che anziché guardare ai propri compiti istituzionali, ai propri limiti, alle proprie responsabilità e ai propri deficit, getta continuamente lo sguardo e la palla dall'altra parte del campo, additando al pubblico ludibrio gli errori, i deficit, le responsabilità e i ritardi degli altri. Ma questo paradigma del depistaggio, di cui la trita disputa sullo stadio San Paolo è l'esempio più plastico, non è solo, alla lunga, urticante e stucchevole. È soprattutto un segnale di debolezza, per così dire, sistemico; cosicché le parole vomitate sugli altri diventano lo schermo della propria inconcludenza.

Con De Laurentiis al massimo secondi? Sarebbe fin troppo facile rispondere all'assessore: ma magari ci riuscisse il Comune, ogni tanto, a strappare un secondo posto; se ci fosse una Champions dei servizi anche noi cittadini, ogni tanto, vorremmo prendervi parte, anziché essere inchiodati eternamente alla zona retrocessione. Mentre in via Marina appassisce anche il ferro, e abbiamo perso l'elenco degli impegni e delle date di «fine lavori». Mentre i turisti sono obbligati a imbarazzanti, scandalose attese per acquistare i ticket di viaggio con due macchinette su tre fuori uso. D'altra parte, sarebbe fin troppo facile anche rispondere a DeLa: basta lamenti, se il San Paolo ti fa tanto schifo costruiscilo tu uno stadio degno di questo nome, con un investimento all'altezza della squadra che fatto risalire tanti anni fa dal guado e hai esposto in vetrina. Ma siamo nel campo dell'«urticante e stucchevole» disputa dalla quale vorremmo invece ritrarci, per segnalare piuttosto quanto lo stadio, ben oltre le responsabilità dei soggetti coinvolti, sia diventato il simbolo di una città che continua a farsi del male da sola, una città eternamente divisa, rissaiola e parolaia, dove non c'è un solo progetto di riqualificazione che avanzi nel frastuono infinito delle polemiche, nello schiamazzo delle accuse, nella trita disputa delle parole che nascondono l'inconcludenza dei fatti.
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