Il primo round andò a Gianni Lettieri, il secondo, ora, se lo aggiudica Antonio D'Amato. Ma più che un pari, è sicuramente la parola fine a una querelle giudiziaria scatenatasi giusto dieci anni fa e che ieri ha visto l'epilogo in un'assoluzione per l'ex numero uno nazionale di Confindustria per non aver diffamato l'ex presidente degli imprenditori napoletani. Scontro tra i due dettato però dalla politica. Per la precisione le comunali di dieci anni fa quando Lettieri, supportato dal centrodestra, si ritrovò al ballottaggio contro l'attuale sindaco uscente Luigi de Magistris.
I due, a onor del vero, pur ricoprendo posizione di rilievo nell'imprenditoria campana non si sono mai amati.
Fu una divisione marcata e irreversibile che culmina in due interviste di D'amato prima alla trasmissione tv «L'Infedele» e poi a «Il Mattino», il 23 e il 25 maggio a pochi giorni dal voto che vedeva contrapposti Lettieri e de Magistris. In particolare, il primo, si sentiva diffamato perché ad una domanda di Gad Lerner tra legalità ed illegalità, tra De Magistris e Lettieri, D'Amato risponde per la seconda facendo intendere che il patron di Atitech fosse portavoce del secondo mondo.
Nel 2017 il giudice monocratico della sesta sezione penale del Tribunale di Napoli pronunciò quindi la sentenza di condanna per D'Amato, riconoscendo il reato di diffamazione a danno di Lettieri. Con la condanna del primo a mille euro di multa più il pagamento delle spese processuali e 3420 euro da versare per le spese sostenute dalla parte civile, lo stesso Lettieri, per la costituzione della stessa in processo.
Tra i due, dicevamo, non è mai corso buon sangue. E a rileggere la citazione di Lettieri presentata all'indomani della trasmissione e dell'intervista, D'Amato si sarebbe adoperato contro l'ex candidato del centrodestra. «Attraverso interviste contro di me», scrivevano i legali di Lettieri facendo notare anche «come queste interviste erano state riprese da de Magistris che rinfacciava le opinioni del collega».
Insomma lo scontro, da personale tra i due come era noto ma diventa politico a tutti gli effetti e culmina con quella trasmissione in cui Lettieri si era sentito diffamato a pochi giorno dal voto che lo vide sconfitto. Nonostante al primo turno avesse preso il 44 per cento dei voti. E diffamazione, secondo i magistrati vi fu, vista la condanna del 2017.
Vicenda chiusa? Nemmeno per sogno perché Antonio D'Amato presenta, attraversa il suo legale Ettore Stravino, ricorso contro quel giudizio sfavorevole. È una questione di principio, più che altro. I magistrati della I sezione di Corte d'appello, infatti, ieri hanno accolto le motivazioni del ricorso presentato da D'Amato.
In sostanza nella trasmissione di Lerner non vi fu diffamazione perché, hanno dimostrato i legali, D'Amato non fece alcun cenno a Lettieri che non aveva mai ricoperto incarichi politici ma denunziò solo i mali che affliggevano la città di Napoli. Ne consegue dunque l'assoluta estraneità nell'identificazione di Gianni Lettieri quale «candidato rappresentativo dell'illegalità», che è poi la frase contestata. Anche se era chiaro che l'ex presidente di Confindustria ce l'avesse con il Pdl guidato allora da Nicola Cosentino. «Non dimentichiamo - disse D'Amato in tv - che la Carfagna rinunziò a candidarsi sino a quando il Pdl a Napoli e in Campania fosse rimasto quello che era...». Frasi contestate da Lettieri che si era sentito diffamato. Decisione ribaltata dai giudici d'appello che hanno ascoltato anche i testimoni presentati da D'Amato: Costanzo Jannotti Pecci, Michele Lignola e lo stesso Raimondo Pasquino che si presentò come candidato del 2011. E le critiche contro Lettieri di D'Amato erano dettate invece solo dalla «fermezza nel sostenere la incandidabilità degli industriali alle cariche pubbliche per prevenire eventuali conflitti d'interesse a danno della collettività».