Fascisti o squadristi, qual è la differenza?

di Vittorio Del Tufo
Martedì 20 Febbraio 2018, 10:19 - Ultimo agg. 10:24
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L’antifascismo è un valore condiviso, nonché un elemento fondativo della Costituzione e della comunità democratica. Manifestare contro il fascismo - e chi vorrebbe reinterpretarlo oggi saccheggiando nella discarica della Storia - è un segnale di consapevolezza e può rappresentare anche un'urgenza democratica, perché abbiamo tutti l'obbligo di sbarrare il passo a certa paccottiglia del passato che predica la violenza e trae nutrimento dall'odio xenofobo e dal disprezzo per i valori che appartengono a tutti. Quanto accaduto domenica sera a Napoli - gli scontri tra polizia e manifestanti dei centri sociali mentre era in corso in un albergo cittadino una manifestazione di CasaPound - segnala tuttavia un rischio: che alla forza degli argomenti e della risposta democratica si sostituisca il linguaggio della violenza e dei volti travisati. Proprio per questi motivi bisogna chiamare le cose col loro nome, e togliere ogni alibi a chi (una sparuta minoranza, speriamo) dell'antifascismo militante si fa scudo per seminare violenza, cercare lo scontro con avversari politici e forze dell'ordine e trascinare nella bagarre anche chi vuole, vorrebbe, manifestare pacificamente.

Al neofascismo xenofobo e razzista di CasaPound, un relitto fuori dal tempo, fuori dalla Storia e soprattutto fuori dalla Costituzione (e che tuttavia è l'espressione di un vento che soffia feroce in tutta l'Europa), alcuni militanti dei centri sociali scesi in piazza domenica a Napoli hanno replicato esibendo il fascismo della violenza squadrista, e rendendo ancora più irrespirabile l'aria a due settimane dal voto. Grazie, non ne sentivamo il bisogno. Come non sentivamo alcun bisogno di ospitare a Napoli i raduni dei fanatici e dei nostalgici del neonazismo. Tuttavia CasaPound e Forza Nuova sono forze politiche che, pur richiamandosi espressamente al fascismo, non sono state considerate illegali; né sono state escluse dalla competizione elettorale. Le forze dell'ordine, a meno che il sistema democratico non deciderà di metterle al bando (se lo deciderà), hanno il dovere di proteggere le loro manifestazioni.

Domenica sera i violenti infiltrati nei centri sociali - perché di una minoranza violenta si tratta - volevano raggiungere il Ramada, dove il leader di CasaPound, Simone Di Stefano, stava tenendo un comizio. Volevano «far capire che a Napoli non c'è spazio per i fascisti e per i razzisti» e per questo non hanno esitato a ricorrere alla microguerriglia urbana stringendo d'assedio la zona della stazione tra lanci di pietre, petardi e bottiglie. In una campagna elettorale già nauseabonda, putrescente di miasmi da sottobosco politico, povera di idee e ricca, finora, solo di provocazioni e veleni, ecco fare irruzione anche a Napoli la violenza politica spacciata per antifascismo militante. Nei giorni scorsi a Bologna gli esponenti di diversi collettivi si sono scontrati con i poliziotti in assetto antisommossa che cercavano di allontanare i manifestanti intenzionati a impedire il comizio di Forza Nuova al grido di «oggi è la nostra Resistenza». A Piacenza un carabiniere è stato accerchiato e legnato per puro odio e con una logica da branco da un gruppo di manifestanti con il volto coperto e armati di sassi e bastoni. Gli ultras antagonisti napoletani non vogliono essere da meno. Sono gli stessi che misero a ferro e fuoco Fuorigrotta per impedire il comizio di Salvini. In quella occasione il sindaco li difese, il consiglio comunale addirittura si rifiutò di approvare un ordine del giorno nel quale si esprimeva solidarietà ai poliziotti sprangati: una pagina nera per la città, che rivela quanto sia grande l'equivoco nel quale siamo precipitati, spacciando per «ribellismo» e «rivoluzionario» ciò che di ribelle e di rivoluzionario non ha il resto di niente. Ieri la storia si è ripetuta.

De Magistris non ha condannato le violenze, ha invece polemizzato con Minniti e Gentiloni: «Cosa aspettano ministro dell'interno e governo a porre fine alla propaganda fascista nel nostro Paese?». Silenzio assoluto, invece, sugli scontri di piazza e sui poliziotti feriti.

Il questore di Napoli, al quale sta a cuore (come a tutti noi) la difesa degli spazi di agibilità democratica - il diritto di tutti e di ciascuno di manifestare e di farlo nel rispetto delle regole - ha definito «manigoldi» i manifestanti che domenica sera hanno attaccato «ben sapendo che non avrebbero mai potuto superare il cordone delle forze dell'ordine, senza rispetto per la città, in una zona frequentatissima come piazza Garibaldi». Manigoldi è una parola dal sapore antico. Significa delinquente incallito, privo di scrupoli. A due settimane dal voto la delinquenza politica e priva di scrupoli fa irruzione anche a Napoli. È una violenza da condannare, senza se e senza ma. Ma, soprattutto, è una violenza che rischia di trascinare anche chi vorrebbe scendere in piazza solo per passione civile. Ed è una violenza alla quale va tolto ogni alibi e ogni patente di «antifascismo».

Bisognerebbe domandarsi infatti che differenza passa, se passa, tra il fascismo militante dei sostenitori di Casapound - una «ridotta» di reduci dalla totale irrilevanza politica e dal linguaggio arcaico, primitivo, nonché dal razzismo violento e sclerotizzato - e lo squadrismo organizzato di chi ritiene di poter valere le proprie ragioni con la prevaricazione e il dominio del territorio, il ricorso alla violenza per dare più forza all'armamentario ideologico dell'antagonismo «a prescindere».

È vero, come diceva Enzo Biagi, che una certa Resistenza non è mai finita. Ed è altrettanto vero, come affermava Piero Calamandrei, che se si vuole andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione bisogna «andare nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati». Ma l'antifascismo è una cosa troppo seria per affidarla alle teste calde dei centri sociali. Le farneticazioni e il razzismo di Casapound si combattono con la forza delle idee, se si è in grado, innanzitutto, di produrne, e poi di sostenerle senza provocazioni e violenze. Bastano quelle, se sono idee di progresso e di civiltà. Il resto è ammuina, squadrismo mascherato da antagonismo, analfabetismo culturale che fa solo concorrenza al lessico neofascista che si dichiara di voler combattere.
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