Napoli, dal meccanico allo chef: i 35mila posti che nessuno vuole

Napoli, dal meccanico allo chef: i 35mila posti che nessuno vuole
di Francesco Pacifico
Domenica 31 Marzo 2019, 09:00 - Ultimo agg. 17:31
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Quasi ogni mese una società tedesca di recruitement scende a Napoli alla ricerca di medici, infermieri, sistemisti, educatori o cuochi da «importare» in Germania. Soltanto martedì scorso, per esempio, è toccato alla Internationaler Bund di Stoccarda, che a Torre Annunziata ha organizzato una serie di colloqui per selezionare 25 tra infermieri e paramedici da inviare nelle sei strutture della Klinikverbund Sudwest, la holding che riunisce i principali nosocomi della capitale del Baden-Württemberg. L'intervista è veloce e, se i titoli non mancano e ci si mostra svegli, in poche minuti ci si ritrovare con una lettera d'incarico, un biglietto aereo di sola andata e uno stipendio d'ingresso che, in base alle mansioni, può sfiorare anche i 2mila euro. Il tutto, mentre nello stesso territorio, le aziende faticano ogni anno a trovare sempre nel Napoletano oltre 35mila figure per altrettanti contratti di lavoro. E parliamo di posti quasi sempre a tempo indeterminato e con possibilità di fare carriera, benefit come l'auto e la formazione continua.
 
Per capire questo fenomeno che gli economisti chiamato mismatching, cioè la difficoltà che hanno domanda e offerta di lavoro di incrociarsi, è utile raccogliere l'esperienza di un imprenditore napoletano della meccanica: «Ci ho messo 7 mesi per trovare due sistemisti. Ci sono nella nostra area imprese, circa il 30 per cento del totale, che lavorano all'estero e nei loro campi realizzano produzioni di alta gamma. Eppure, nonostante questo trend, facciamo fatica a trovare le figure più specializzate: i più giovani, parlo soprattutto dei migliori laureati nei nostri politecnici, preferiscono andarsene all'estero, dove guadagnano di più e fanno esperienze più gratificanti. Restano soltanto quelli che hanno figli e che hanno i genitori da accudire. Almeno fino a quando non riescono a portare via la famiglia».

La situazione occupazionale tra Napoli provincia è da brividi: la disoccupazione è pari al 24 per cento, il doppio rispetto al dato nazionale; il reddito medio è di 17.009 euro all'anno (2mila in più rispetto alla media regionale); quasi 70mila sono state le domande presentate per ottenere il reddito di cittadinanza. Eppure, nonostante questo scenario da economia di un Paese in via di sviluppo, le imprese fanno fatica a trovare dipendenti, soprattutto per le figure professionali maggiormente specializzate, quelle che in teoria si pagano di più.

In quest'ottica aiutano i monitoraggi fatti da Unioncamere con il centro studi Adapt per il rapporto Excelsior. Guardando agli oltre 35mila posti vacanti nella provincia di Napoli, le imprese fanno più fatica soprattutto quando sono da assumere «amministratori e direttori di grandi aziende»: su 90 posizione aperte, alla fine del 2018, sono rimaste aperte 48. Sempre nel nostro territorio le aziende della meccanica sono rimaste sguarnite della metà, circa 3mila unità, del personale necessario per le cosiddette «professioni tecniche in campo scientifico, ingegneristico e produttivo». L'industria culturale e quella che si occupa di formazione denunciano che manca la metà del personale che rientra nella categoria degli «specialisti in scienze umane, sociali, artistiche e gestionali»: archivisti, ricercati, mediatori legali, formatori, analisti dei fenomeni sociali ed economici.

Nella regione dove l'agroalimentare vale un terzo del Pil e buona parte delle esportazioni, le realtà del comparto denunciano che manca il 42,4 per cento degli «specialisti nelle scienze della vita»: parliamo di oltre 250 figure tra agronomi, biologi, botanici e zoologi. Sempre sul campo dei lavori con maggiore profilizzazione, circa duemila posti, un terzo del totale, riguardano artigiani e operai richiesti dalle industrie dell'alimentare, del tessile, del legno, della pelle e dello spettacolo. Oltre 1.200 posti, il 29,5 per cento, sono andati «vacanti» nei servizi di cura alle persone. Un altro 24 per cento è rimasto vuoto nella casella «impiegati addetti ai movimenti di denaro e all'assistenza clienti». Il nostro territorio paga poi il forte ritardo nell'offerta formativa attraverso gli istituti tecnici specializzati: non rispondono, nel 22,2 per cento dei casi, alle application destinate a operai semiqualificati che devono gestire macchinari delle catene di montaggio; nel 20,4 per cento dei casi alle offerte per mansioni di segreteria; nel 19,6 per cento dei casi ai posti nelle attività destinate alla «raccolta, al controllo e alla conservazione della documentazione». Da non sottovalutare poi, che in una Campania che garantisce possibilità di svago al mare come in montagna, albergatori e ristoratori dicono sono sprovvisto quasi per un quinto del totale del loro personale, quando provano a reclutare maitre, direttori di sala, sommelier e chef.

Di converso il tessuto produttivo fa meno fatica a reperire le figure meno specializzate di cui ha bisogno. È bassissimo il mismatching nel settore agroalimentare come in quello ittico nella fase della lavorazione, si registra sotto l'8 per cento tra domanda e offerta nelle «professioni non qualificate nel commercio e nei servizi», è pari a zero nel comparto «attività domestiche, ricreative e culturali». Va da sé tutte che parliamo di mansioni con minori responsabilità e soprattutto con stipendi più bassi.
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