«Non esistono formule magiche. C'è bisogno che tutti si rimbocchino le maniche, compresi i genitori». Ne è convinto Antonio De Iesu, oggi assessore alla Legalità e alla Polizia municipale, per 30 anni dirigente di polizia e poi questore di Napoli.
Sono all'ordine del giorno risse e accoltellamenti e troppo spesso sia le vittime che i carnefici sono giovanissimi. Qual è la sua analisi del fenomeno?
«Il problema delle baby gang si è modificato e aggravato nel corso dei decenni. Da questore ho gestito e ho portato a termine con la squadra mobile e anche con i carabinieri tante indagini sulle baby gang, che più che baby gang sono branchi. Le baby gang sono a Milano, a Genova, sono strutturate, hanno un senso di appartenenza. Qui si tratta di agglomerati di giovani. Partiamo dal caso emblematico di Arturo, 17enne accoltellato a via Foria nel 2017 da ragazzini più piccoli. Ricordo il più piccolo del branco, il gancio, che attirò Arturo. Vive in un basso, la mamma aveva 3 figli con 3 mariti diversi e passa le giornate a fumare. Il tema è interrogarsi sulla vita di questi ragazzini e di capire da dove arriva quella ferocia».
Secondo lei?
«Dal luogo e dal contesto familiare in cui crescono e vivono. Anche per il fatto accaduto a Torre del Greco bisogna comprendere dove i ragazzi abbiano maturato quella carica malvagia di violenza repressa. Se un ragazzino a 14, 15 anni va in coma etilico o cammina con un coltello in tasca è anche una grande responsabilità dei genitori».
Come va affrontata questa emergenza?
«Bisogna sporcarsi le mani per capire i problemi e non parlare di legalità in maniera teorica. Fare convegni non è sufficiente. Creiamo delle biblioteche e dei laboratori che aggreghino i ragazzi in ogni Municipalità. È un problema di prevenzione. La tenerezza di un bambino di un anno è la stessa sia a Scampia, che al parco Conocal, al Bronx o a Forcella. Questi ragazzi però quando crescono ed escono di casa vivono perennemente per strada e già da 5 o 6 anni sono costretti ad osservare comportamenti malavitosi: la prevaricazione, la vessazione. Si nutrono di queste cose e in una forma di difesa la esercitano. È lì che bisogna avere la forza di agire, ma non a chiacchiere. E a Napoli ci sono dei laboratori positivi».
A chi si riferisce?
«C'è il caso della Sanità. Oggi al Mendicicomio a via Cristallini ci sono due centri giovanili sportivi delle Fiamme oro, uno di judo e l'altro di pugilato. Quella iniziativa è nata quando padre Loffredo mi chiamò, ero questore da un anno, e mi disse che i ragazzi della Sanità volevano fare pugilato. Mise a disposizione la sagrestia della chiesa. Io sponsorizzai la cosa con il ministero, che fece arrivare due atleti delle Fiamme oro in pianta stabile per gestire la palestra».
La punta dell'iceberg si manifesta nei weekend con la movida, cosa si può fare?
«Non bisogna aspettare che i fatti avvengano, ci vuole prevenzione sociale come fanno alcune associazioni, che però devono essere messe in rete. Gli enti locali si devono far carico di queste cose. Servono ovviamente assistenti sociali che vadano in strada e nelle case e parlare con le famiglie. Io non sono un romantico ma ricordo un film che reputo monumentale, Io speriamo che me la cavo, dove questo maestro venuto dal Nord, non inquinato da certi meccanismi di quartieri degradati, quando vede che i ragazzini non vanno a scuola va presso le famiglie e conquista la loro fiducia. Oggi tutti nel proprio ambito dovrebbero fare come lui. Chi filosofeggia e dice che ci sono formule magiche sbaglia. Perché non esiste nessuna formula magica».
Per la movida serve un ulteriore sforzo delle forze dell'ordine?
«La violenza figlia della mala-movida non è pianificabile, oggi può avvenire a Bagnoli, domani a Chiaia. Nel fine settimana alcuni punti della città sono il concentrato di comportamenti, culture, temperamenti e formazioni diversi e basta poco per scatenare la violenza. E la sproporzione tra numero di giovani e forze di polizia non potrà mai essere sanata. Per quanto ci si sforzi non si potranno mai controllare tutte le aree della città».
Che ne pensa dell'idea di mettere metal detector nei locali?
«Siamo pratici e siamo realisti: i locali della città ad eccezione delle discoteche hanno spazi limitati, il problema non è all'interno delle attività. Accoltellamenti e sparatorie avvengono sulle aree pubbliche. Mettere il metal detector per controllare chi entra non è efficace. Forse potrebbe essere utile se sostenibile per le discoteche, ma non certo per i baretti».