Dal centro di Napoli a Scampia, quel cliché da ribaltare

di Piero Sorrentino
Lunedì 18 Febbraio 2019, 08:00
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Se «Napoli comincia a Scampia» - come recitava il titolo di un libro bello e purtroppo sottovalutato curato da Maurizio Braucci e Giovanni Zoppoli che uscì da «L'Ancora del Mediterraneo» nel 2005, nel pieno della prima faida di Secondigliano - è su Scampia, e più in generale sullo stato delle nostre periferie, che continuiamo a misurare la distanza che ci separa dall'essere una città normale. È sullo stato delle scuole di quei territori, sull'offerta didattica e culturale proposta a quelle ragazze e a quei ragazzi, che percepiamo con maggior intensità la rottura di quel patto formativo che è alla base di ogni società civile.

Ed è a Scampia a San Giovanni a Teduccio, a Barra, a Ponticelli che ogni giorno, ogni ora si allenta la stretta di mano che sancisce e crea le condizioni di vivibilità e di futuro di una intera città. Ed è lì, soprattutto, che ci siamo dimenticati di immergere il gomito per saggiare la temperatura dell'acqua prima di tuffarci. Esposti al rischio di ustioni sempre incombenti. Napoli e Scampia «ancora una volta l'una di fronte all'altra», scriveva ieri su questo giornale Adolfo Scotto di Luzio, commentando la reazione di alcuni genitori del liceo Sannazaro che avrebbero protestato con un sonoro «Qui non siamo a Scampia!» dopo i controlli antidroga dei carabinieri nelle aule della scuola vomerese. Una città e la sua periferia che stanno lì a ricordarci che il Paese «è pieno di persone perbene che ci tengono a non farsi confondere con quelli che abitano in periferia». Una indignazione, quella manifestata da un gruppo per fortuna minoritario, a quanto pare, ma pur sempre latore di un ignobile pensiero che sarebbe più utile indirizzare verso altre e più meritevoli battaglie.

Bisogna infatti provare a pensare a quanto è disarmata la giovinezza in quei luoghi, e com'è fragile davanti a cattivi maestri e vecchie abitudini.

Forse, se solo quei genitori si preoccupassero un po' meno delle loro lezioni di paddle e dedicassero qualche ora alla lettura dei dati del nono «Atlante dell'infanzia a rischioA di Save the Children dedicato a «Le periferie dei bambini», ne trarrebbero giovamento. Leggendo, per esempio, una batteria impressionante di numeri e informazioni che tracciano col bisturi la spaccatura che attraversa Napoli e la taglia in due metà che hanno ormai le sembianze di due veri e propri universi paralleli. Qualche cifra? I 15-25enni sprovvisti di diploma di scuola secondaria di primo grado sono il 2% al Vomero. Quasi il 20% a Scampia. I cosiddetti Neet cioè i ragazzi tra i 15 e 29 anni che non studiano né lavorano sono il 9,1% e 10,1% al Vomero e all'Arenella, mentre a Ponticelli, Scampia o San Giovanni a Teduccio le percentuali sono rispettivamente del 31,4%, 31,1% e 30,6%.

Ma il nemico da combattere non è solo la scarsa propensione alla lettura dei dati scientifici. Il vero problema sta nel totale disinteresse di un pezzo della città verso quei giovani, il loro futuro e le scuole nelle quali questo viene faticosamente assemblato giorno dopo giorno. Eppure, basterebbe provare a lottare anche solo un po' contro spiriti gretti e pavidità, vincendo il disfattismo implacabile e astioso che allaga implacabilmente lo sguardo di quella parte privilegiata della città. Basterebbe provare, ogni tanto, a vedere coi propri occhi l'azione ininterrotta di educatori e insegnanti, presidi e impiegati, l'esercizio instancabile di dirigenti scolastici e personale di segreteria. Nelle stesse ore in cui quella dichiarazione dei genitori del Sannazaro veniva riportata dalle cronache cittadine, per caso io mi trovavo proprio in una scuola di Scampia: l'Itis Galileo Ferraris di via Labriola.

La situazione di quel plesso scolastico? Qualcosa di molto simile a un campus americano. Una palestra enorme e attrezzatissima con docce, sala da ping pong, medicheria con defibrillatori e pronto soccorso. Sale per la realizzazione di prodotti audiovisivi dotate di strumenti all'avanguardia. Aule luminose e pulite. Personale tecnico-amministrativo che filava da una stanza all'altra a risolvere problemi con efficienza svizzera. Docenti appassionati e competenti. Scampia è dunque il Bene e chiudiamo qui il discorso? No, naturalmente. No, purtroppo. Ma guai a ignorare la forza sovversiva di questa, come di moltissime altre realtà delle nostre periferie. Guai ad abbandonarsi ai piaceri immaginari di alcune presunte purezze, che godono delle imperfezioni altrui e distolgono lo sguardo dalla realtà. Nella inaffidabilità di queste posture che si autopercepiscono come sacre, contro la loro pericolosità, è affidato a quei luoghi di periferia il compito più arduo e più decisivo per il futuro della nostra città: l'immaginazione non del futuro ma del presente, nonostante tutto.
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