Napoli, da villa Ebe all'Albergo dei poveri: le promesse mancate da de Magistris

Napoli, da villa Ebe all'Albergo dei poveri: le promesse mancate da de Magistris
di Paolo Barbuto
Lunedì 6 Luglio 2020, 00:00 - Ultimo agg. 11:29
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Inserito nel 1995 nella lista del patrimonio mondiale da tutelare, il Centro Storico di Napoli per lunghi anni è rimasto immobile nella sua antica e decadente bellezza. Poi, nel 2011, l’Unesco ha chiesto alla città uno sforzo in più: la creazione di un progetto di sviluppo di quell’area bellissima e potenzialmente capace di generare una solida crescita culturale ed economica. Arrivarono 72 progetti dei quali il Comune di Napoli assunse la responsabilità dell’attuazione.

Non è facile spiegare quali e quante promesse (non mantenute) sono state fatte all’Unesco sicché, ci perdonerete, faremo riferimento direttamente al documento ufficiale.
 

 

Anno 2011, all’Unesco il Comune presenta le Cappuccinelle (ex carcere Filangieri) come ideale per la rivitalizzazione di un intero quartiere: “La struttura sarà restaurata e riconvertita in centro congressi, sala mostre e hotel, alla base sarà dato spazio ad attività artigianali, la struttura sarà capace di portare sviluppo sociale ed economico all’intera area”. Sapete tutti com’è andata a finire: occupazione, trasformazione in “bene comune”, assegnazione gratuita a Scugnizzo Liberato. Progetto lodevole, ma profondamente lontano da quello promesso all’Unesco.

Gentili signori dell’Unesco, villa Ebe è un rudere ma la riporteremo all’antico splendore e diventerà un polo di attrazione per la cultura della città in modo da riportare movimento e sviluppo economico in cima a Monte di Dio, la presentazione del 2011 era affascinante. Il risultato lo conoscete tutti: villa Ebe è ancora un rudere, il Comune aveva pensato di venderla ma forse la terrà per rimetterla in sesto: l’Unesco aspetta notizie certe, del resto sono passati solo nove anni.
 
 

Quando leggono il documento, i frequentatori della Gaiola ancora ridono di gusto. All’Unesco qualcuno aveva dato a bere un progetto stellare: ampliamento delle stradine di accesso, realizzazione di un grande parcheggio di interscambio con scale mobili per salire verso la grotta di Seiano e per scendere verso il mare, ristrutturazione dell’edificio sull’isolotto, imbarcadero per l’approdo di mezzi turistici...

D’accordo, se anche a voi viene da ridere avete ragione. La Gaiola resta un luogo magico ma l’accessibilità è un miraggio, anche se all’Unesco era stata presentata un’idea differente.
 
 

Cinque luglio 2011, de Magistris si inerpica tra i vicoli dei Quartieri Spagnoli e spiega alla popolazione: «Qui cambierà tutto, i Quartieri saranno trasformati, diventeranno la Montmartre di Napoli con locali e artisti». Sei mesi prima questa stessa idea era stata messa nero su bianco nel piano di gestione presentato all’Unesco dove si spiegava come sarebbe cambiata l’area dei Quartieri: «trasformeremo 88 bassi in locali da destinare ad attività produttive, commerciali ed artigianali con una nuova occupazione per 246 unità. Finanzieremo lo sviluppo e la riqualificazione di altre 100 attività produttive già insediate nell’area. Per risistemare strade, piazze e palazzi saranno coinvolti 270 professionisti, 124 imprese e circa 500 operai».

Poi c’era la promessa di rimettere in sesto il malconcio lungomare, si spiegava che in qualche mese sarebbe stato ristrutturato l’Albergo dei poveri, si giurava che in un lampo sarebbe ripartita la Linea 6 della Metro (ancora ferma) e si sarebbe aperta la stazione Duomo della Linea 1 (ancora vietata).
 
 

Se volete un quadro completo del libro dei sogni presentato all’Unesco potete leggere il documento ufficiale che è ancora in bella mostra sul sito del Comune di Napoli.
Forse ci sarebbe bisogno di una revisione di quel documento, di una verifica, giusto così, per non illudere troppo l’Unesco che potrebbe credere per davvero a quelle promesse e venire a cercare la Montmartre napoletana. 

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