Ospedale del Mare, il danno all'immagine che alimenta i pregiudizi

di Vittorio Del Tufo
Mercoledì 11 Luglio 2018, 10:00
3 Minuti di Lettura
Nelle stesse ore in cui il primario di Chirurgia vascolare dell'Ospedale del Mare lasciava sguarnito il reparto per organizzare una festa con amici e parenti e brindare così al suo nuovo incarico, l'intero personale sanitario e parasanitario degli ospedali di Torre del Greco e Boscotrecase si vedeva sospendere, d'autorità, tutte le ferie, i permessi e i congedi fino al 15 luglio a causa del boom di accessi al pronto soccorso e della cronica carenza di personale nelle strutture sanitarie dell'area vesuviana. Quest'ultima notizia difficilmente guadagnerà le prime pagine dei quotidiani nazionali: i sacrifici fanno meno notizia degli scandali e il clamore (giustamente) suscitato dalla vicenda del party in camice bianco fa passare tutto il resto in secondo piano.

Anche se «tutto il resto» è l'altra faccia della medaglia, è il senso del dovere di tanti medici e infermieri costretti a turni massacranti di lavoro negli ospedali di frontiera, è una sanità eternamente al collasso che cerca di risalire la china avendo piena consapevolezza delle disfunzioni da superare e delle posizioni da recuperare in termini di efficienza e di credibilità. Perciò, nelle stesse ore in cui va in scena lo spettacolo indecoroso dei pazienti dimessi o trasferiti da un ospedale all'altro per permettere ai colleghi del primario in questione di partecipare alla serata danzante, va raccolto l'urlo di rabbia degli altri medici - tanti, tantissimi - che si sentono traditi e avvertono: quello che è accaduto danneggia tutti.

Vi sono dei danni all'immagine non solo di una categoria, ma anche di una città, di una regione, di un territorio, che superano i confini di un semplice - per quanto assurdo, paradossale e gravissimo - episodio di cronaca. E rischiano di pesare come una zavorra su tutti, anche su chi si sforza, mettendoci la faccia e il cuore ogni giorno, quotidianamente e in silenzio, di affermare le ragioni della civiltà, del rispetto delle regole e della trasparenza dei comportamenti. Di questo parliamo quando parliamo del «reparto chiuso per festa» che ha fatto dire al ministro della Salute Grillo: «Pensavo fosse una fake news». Quel che è più grave è che al di là delle singole responsabilità - che verranno accertate, ci auguriamo, in modo rapido e rigoroso - episodi come quello dell'Ospedale del Mare gettano un'ombra, una luce negativa, su un'intera collettività di professionisti. Sono episodi tanto più gravi, insomma, perché contribuiscono ad alimentare una narrazione distorta, parziale, della sanità regionale, oscurando gli sforzi di chi è in prima linea per migliorarne l'immagine e gli standard di efficienza. E rischiano di alimentare, perché no, anche il pregiudizio di quanti scelgono di curarsi fuori regione.

In questi ultimi mesi la sanità campana sta compiendo sforzi titanici per ridurre il gap con il resto del paese. Lo sta facendo in un contesto difficile, dominato dal blocco del turn over, dalla fuga dei medici dai pronto soccorso degli ospedali più esposti, dal dramma dei corridoi invasi dalle barelle e sovraffollati spesso oltre il limite della decenza, dal filtro delle emergenze che continua a non funzionare, dai ritardi sul fronte delle diagnosi precoci. Tra incrostazioni e ritardi, molta strada resta ancora da fare, a cominciare dalla riduzione dei tempi di attesa per l'accesso alle prestazioni sanitarie: una delle priorità dei livelli essenziali di assistenza (LEA).

Ma la sanità, a Napoli e in Campania, non ha soltanto il volto dei furbetti del cartellino e di quei medici (e quei manager) i quali evidentemente vivono su Marte, perché non si accorgono che un reparto viene chiuso sotto i loro occhi. Ma ha il volto, e per fortuna il cuore, anche dei medici e degli operatori del 118 che si dedicano ai loro pazienti con abnegazione totale, subendo aggressioni continue nelle ambulanze o nei pronto soccorso; o dei medici e degli infermieri costretti a rinunciare alle ferie estive per garantire l'operatività dei reparti; o degli specializzandi sottopagati (o non pagati affatto) che soprattutto nel periodo estivo devono occuparsi praticamente di tutto, e vedono ancora lontana la realizzazione di un sogno per il quale hanno studiato tanto.
© RIPRODUZIONE RISERVATA