Paolo Russo lascia Forza Italia: «Da Saragat a Berlusconi, una vita tra i moderati ma Fi non è più casa mia»

Paolo Russo lascia Forza Italia: «Da Saragat a Berlusconi, una vita tra i moderati ma Fi non è più casa mia»
di Adolfo Pappalardo
Sabato 30 Luglio 2022, 10:00 - Ultimo agg. 20:31
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«Una volta in Fi c'erano politici del calibro di Urbani, Martino o Pisanu». 

E oggi?
«Non sapevo più con chi parlare: sparita tutta l'area moderata che smussava e mediava le intemperanze del Cavaliere».

Amareggiato?
«Moltissimo dopo 27 anni e sei legislature consecutive».

Paolo Russo, parlamentare azzurro uscente e un curriculum da da capo della commissione rifiuti e agricoltura riavvolge il nastro della sua vita in Fi. Poi la decisione di abbandonare.

Fine della storia, quindi?
«Ho partecipato sin dagli inizi quando sembrava una traversata nel deserto con Berruti e Scajola: abbiamo inventato inni, organizzato la nave della libertà e all'inizio incontravamo la Merkel che era solo il capo del partito popolare tedesco.

Ho avuto la fortuna di partecipare ad una stagione ricchissima di tensioni, di visioni e di costruzione. Con la certezza di una guida certa e con le forze della destra ai margini».

Una sicurezza per lei che veniva dal Psdi.
«Poi ho guardato a Berlusconi che aveva dato una casa sicura a tutti noi moderati: centristi, socialisti, liberali che avevano vista distrutta la propria casa da Tangentopoli. Io venivo da una scuola di maestri d'eccezione: ho frequentato Saragat che nel 48 fece una scelta contro il blocco social-comunista. Come fece Berlusconi nel 94. In Fi insomma c'era la continuità che io volevo».

E oggi?
«Di fronte alla scelta dalla parte di Draghi e dell'Europa ho assistito a pelosi distinguo. Poi il colpo ferale: l'aggressione a Draghi, il premier che all'estero tutti ci invidiano, ed al suo governo solo per il gusto di andare al voto e prendere qualche voto in più. Mettendo a rischio i conti».

In passato non sarebbe successo?
«C'erano personalità di straordinario profilo del calibro di Urbani, Martino, Pisanu, Colletti che mediavano e intervenivano se c'erano intemperanze. Oggi Saragat sarebbe dalla parte dei popolari e dei socialisti contro orbaniani e puntinisti. E il Berlusconi che io ho conosciuto sarebbe stato con i primi».

Il partito è cambiato nel suo dna.
«Oggi non saprei nemmeno con chi parlare in Forza Italia perché tutti quelli che hanno mantenuto la barra dritta per evitare che si andasse a destra, sono andati via. Quasi 50 sinora e tutti perché non volevano sentirsi leghisti».

I detrattori dicono che Fi è ormai un'appendice dei sovranisti.
«È diventato come l'Udc di Fi: non una costola ma una falangetta. Il resto è tutta una formazione leghista. Per questo non potevo più stare lì. Invece il patto repubblicano di Azione è un riconoscimento all'esperienza di Draghi ed a posizioni non negoziabili: a cominciare dal fatto che siamo nella Ue non a trazione lepenista e non si liscia il pelo a no vax e sovranisti».

Nessuno si aspettava la caduta del governo per mano di Fi.
«In questa legislatura ho potuto occuparmi di cose concrete grazie al ministro Carfagna. Dalla terra dei fuochi destinata a diventare giardino d'Europa con 200 milioni passando per le ingenti risorse per Gragnano per collegarsi con Pompei e Castellammare. Progetti che hanno ridato dignità ai territori e per questo non posso accettare come questo governo sia caduto per mano di Forza Italia, il mio partito. E se governerà la Lega sarà una sciagura per il Paese perché la partita dell'autonomia differenziata si trasformerà nella scissione dei ricchi contro il Mezzogiorno».

Il percorso di Fi era intuibile.
«Sarebbe stato facile accucciarsi in Forza Italia e assicurarsi una sediolina e non si cambia casacca durante la legislatura. Caduto il governo sono libero».

Si candiderà con Azione?
«Si può continuare a fare politica in tutti modi. Sto da troppo tempo per aspirare a fare il parlamentare ma serve una qualificata rappresentanza dei nostri territori. Ma deciderò confrontandomi con i miei elettori e gli amministratori». 

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