Adele e Francesca Lezzi: «Papà Pietro sindaco gentiluomo ma guai a disturbargli il pisolino»

Adele e Francesca Lezzi: «Papà Pietro sindaco gentiluomo ma guai a disturbargli il pisolino»
di Maria Chiara Aulisio
Venerdì 7 Maggio 2021, 18:00
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Adele e Francesca lo ricordano sorridendo. Non si contano gli episodi che riaffiorano alla mente quando chiedi loro di parlare del padre, Pietro Lezzi, sindaco della città di Napoli dall'87 al 90, ma anche parlamentare per diciotto anni e deputato europeo. C'è un episodio che più delle parole descrive il carattere del personaggio. E lo racconta Carlo Franco in una bella intervista che molti anni fa raccolse per Repubblica: Ero stato eletto da pochi giorni da un pentapartito rissoso e poco affidabile, - diceva Pietro Lezzi al giornalista - ero preso dall'esigenza di dialogare con la città mettendomi, come sempre, dalla parte dei più deboli. Una mattina, appena giunto a Palazzo San Giacomo, venni informato di una protesta di donne a San Giovanni a Teduccio e decisi di andarci di persona. Al mio arrivo fui accolto così: 'O pesce fete d'a capa, ma non mi feci intimidire. Anzi, mi tolsi il cappello e, dopo un inchino, mi rivolsi a quella che mi aveva lanciato l'offesa: Signora vi sbagliate,a capa mia addora. La protesta finì subito. Col garbo, e una battuta, riuscii a fare breccia in quel muro di ostilità.

Il sindaco gentiluomo.
«Grande personaggio. Sapeva come farsi amare dalla gente. Non si contano gli attestati di stima - e di affetto - che ha ricevuto nel corso della sua lunga carriera politica».

Era in sintonia con la città.
«Basta un esempio. Detestava le auto blu e invece gli piaceva spostarsi in pullman, diceva che era quella la sua Limousine. Quando non aveva impegni istituzionali si piazzava alla fermata e aspettava il mitico 140».

Da Posillipo verso il centro.
«Usava i mezzi pubblici anche quando abitava alle Rampe Brancaccio. Qualche volta lo accompagnavamo pure noi. A bordo cominciava a parlare, e a ridere e a scherzare con tutti. Il bus si trasformava in un teatro. Signo' che avete preparato oggi a pranzo? Il ragù? Buono, e ditemi come lo fate.... Una semplicità, e una naturalezza anche con chi non conosceva. I napoletani lo adoravano».

Un sindaco a cui piaceva stare tra le gente, Pietro Lezzi.
«Lui amava la gente. A Palazzo San Giacomo ci stava il minimo indispensabile, poi andava in giro. I problemi della città voleva toccarli con mano, e chiuso in ufficio - diceva - difficilmente ci sarebbe riuscito».

Quindi a casa c'era poco?
«Aveva un alto concetto della politica. E per la politica, se necessario, sacrificava anche la famiglia. Ma quando c'era si faceva sentire».

In che senso?
«Padre adorabile ma severo e rigoroso. A parte il rispetto assoluto del dovere - per noi figli si traduceva nell'impegno che pretendeva nello studio - c'erano alcune circostanze che lo facevano diventare una furia».

Qualche esempio?
«La pennichella dopo pranzo.

Un rito. Si metteva addirittura il pigiama e guai a disturbarlo».

Pretendeva il silenzio?
«Assoluto. Da piccole ne abbiamo avute di ramanzine. Ma pure da grandi: guai a parlare, a far rumore mentre riposava».

Questione caratteriale?
«In parte. Anche da sindaco dimostrava severità e autorevolezza, ma sempre a modo suo: senza rinunciare, cioè, a quella carica di signorilità che è stata il suo modo di essere. Qualcuno ricorderà come concludeva, quasi sempre, le sue conversazioni».

Lo dica lei.
«Damm nu vas».

Che altri ricordi avete con lui?
«La passeggiata in barca a remi a Mergellina, la domenica mattina, tempo permettendo, era un appuntamento irrinunciabile. I pescatori ci aspettavano, tutti compagni socialisti. Lo chiamavano don Pietro».

A proposito di partito: in tanti ricordano «Pagine socialiste», un volume di memorie della sua esperienza politica.
«Ci lavorò a lungo in occasione dei suoi 80 anni. Raccolse testimonianze degli incontri con Willy Brandt e Mitterrand, Altiero Spinelli e Craxi, Panagulis, Arfé, Francesco De Martino».

Bei ricordi.
«Quelli davvero non mancano. Come dimenticare, tanto per fare un altro esempio, il lavoro trentennale, paziente e vincente, da presidente delle Ville Vesuviane? Fu lui l'autore della proposta di legge che, approvata dalla Camera con la spinta di Sandro Pertini, divenne legge per salvare quel patrimonio dal degrado».

Un uomo appassionato.
«Metteva il cuore in tutto ciò che faceva. Anche leggere i giornali era passione. Ne comprava a decine. La prima tappa della giornata era in edicola».

Informarsi faceva parte del suo lavoro.
«Certo, ma in ogni caso gli piaceva. Perfino Le Monde leggeva: tutto. Siamo cresciute con l'odore della carta stampata sotto il naso e il fruscio delle pagine dei quotidiani. Ne abbiamo ancora tanti di giornali e volumi che lui, per qualche ragione, conservava. Ci verrebbe anche voglia di mettere insieme tutto questo materiale e tirarne fuori qualcosa».

Una raccolta di ricordi, insomma.
«Perché no?».

Album di famiglia: dal battesimo dei figli alla poltrona di Palazzo San Giacomo. Potrebbe essere un'idea?
«Sul primo punto non ci siamo: non ci ha mai fatto battezzare. Idem la prima comunione».

E perché?
«Nel rispetto della sua fede socialista riteneva che dovevamo essere noi a decidere quale religione seguire. Aveva visto lungo. Sono 40 anni che siamo entrambe buddiste».

Che cosa ne pensava Lezzi di questa scelta?
«Ne andava quasi fiero: le mie figlie sono buddiste, diceva. Ciò che contava per nostro padre erano la consapevolezza e il senso di responsabilità. Quale fosse la scelta veniva dopo».

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