Forza Italia, l'addio di Stefano Caldoro: «Rapporti insanabili»

Forza Italia, l'addio di Stefano Caldoro: «Rapporti insanabili»
di Adolfo Pappalardo
Giovedì 3 Novembre 2022, 00:00 - Ultimo agg. 4 Novembre, 07:27
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Per formalizzare l’addio è solo questione di qualche giorno. Molto probabilmente nella prossima seduta di consiglio regionale. Ma il dado è ormai tratto: Stefano Caldoro, ex governatore e capo dell’opposizione, e Massimo Grimaldi, consigliere regionale da 4 legislature, lasceranno Forza Italia. Con il paradosso che, senza di loro, decadrà il gruppo azzurro in Consiglio perché rimarrebbe un unico esponente Fi. Il partito del Cavaliere così perderà formalmente il suo avamposto in Consiglio. È la fine di un’epoca proprio nella regione un tempo cassaforte nazionale di voti azzurri, dove si decidevano ministri e sottosegretari degli esecutivi a guida Forza Italia. Altri tempi. 

«Situazione irrecuperabile». «Uno schiaffo al gruppo campano». A parlare nei giorni scorsi a Il Mattino sono, rispettivamente, Stefano Caldoro e Massimo Grimaldi, esponenti socialisti nelle fila di Fi sin dalla fondazione, ora decisi ad abbandonare gruppo e partito. Per transitare, quasi sicuramente, in Fratelli d’Italia ma come esponenti autonomi del Nuovo Psi. Da giorni ci pensano. E da giorni si sfogano, senza giri di parole, con i loro più stretti collaboratori di «non sentirsi più a casa». O peggio «traditi dal Cavaliere in persona che non ha tutelato il gruppo campano immolandolo in uno scontro interno che è ormai un cancro». Parole pesantissime in un partito dove qualsiasi malumore veniva sempre risolto con le armi della diplomazia. Tutto finito. Vicenda scoppiata nei giorni di formazione del governo quando i vertici nazionali del partito annunciano la rosa dei 5 ministri. Sono Tajani, Ronzulli, Casellati, Bernini e Cattaneo. E già qui Caldoro, in particolare, fatica a ingoiare l’amaro boccone di non vedere nella lista dei ministri nessun esponente del Sud.

Sono giorni e ore roventi perché sulla Ronzulli, fedelissima e ormai potentissima plenipotenziaria del partito, c’è un veto della premier Meloni. 

E così la Ronzulli viene sfilata dalla rosa dei ministri assieme a Cattaneo, che diventano rispettivamente capogruppo di Senato e Camera. C’è ancora tempo per ricucire con il gruppo campano e, in generale del Sud. Al loto posto, è la richiesta, che almeno uno sia del Mezzogiorno. Della Puglia e della Campania perché almeno la Calabria e la Sicilia sono governate dal centrodestra. E, invece, ecco lo smacco pesantissimo: vengono scelti due ministri del Nord come Gilberto Pichetto Fratin (Piemonte) e Paolo Zangrillo (Liguria). Per Caldoro, ex ministro e vicinisimmo da sempre a Berlusconi, è un «vulnus irreparabile» e inizia a meditare l’addio. Troppo amareggiato: «Non per me ma perché non c’è nessuno del Mezzogiorno», dice ai suoi. 

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Passa qualche giorno e un altro affronto si materializza su Massimo Grimaldi a cui, in campagna elettorale, è stato Antonio Tajani a promettergli un posto di sottogoverno. Ma anche su questo fronte arriva la delusione per il politico casertano. Con il paradosso che l’unico incarico da sottosegretario scatta non magari per la Patriarca, capogruppo in Regione nel frattempo eletta in Parlamento, ma per l’avvocato di San Giorgio a Cremano Tullio Ferrante (alle Infrastrutture), compagno di scuola della Fascina, la “quasi moglie” dell’ex presidente del Consiglio. È l’ultima (e clamorosa) bocciatura per la vecchia guardia del partito e un’affermazione, se pure ve ne fosse ancora bisogno, della leadership del nuovo cerchio magico berlusconiano. Con conseguenze non da poco. Con l’addio di Caldoro (che si porterà via anche la casella di capo dell’opposizione) e Grimaldi, a meno di che nuovi innesti (ma è improbabile) scomparirà il gruppo azzurro. Impossibile tenere alzato il vessillo in Consiglio con un solo consigliere (Paolo Cascone che subentra alla neo-parlamentare Patriarca). E comunque la si veda è la fine di un’epoca.  

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