Rifiuti a Napoli, l’affondo del sindaco Manfredi: «L’Asìa è un disastro, scioperi intollerabili»

Rifiuti a Napoli, l’affondo del sindaco Manfredi: «L’Asìa è un disastro, scioperi intollerabili»
di Luigi Roano
Martedì 12 Ottobre 2021, 07:46 - Ultimo agg. 13 Ottobre, 09:13
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«A De Luca ricordo che senza Pd non esisterebbe nemmeno lui, la vittoria è di Manfredi e di quella parte di Napoli che ha chiesto di voltare pagina». Spiega Francesco Boccia parlamentare del Pd e responsabile degli enti locali del partito in risposta al governatore che sibillinamente subito dopo la chiusura delle urne ha notato «che Pd e M5S insieme arrivano al 22%». Bollando il M5S «come irrilevante» più o meno come il suo partito. A rispondergli questa volta è il ministro degli Esteri Luigi Di Maio: «Le sue liste sono arrivate dopo le nostre, se noi siamo ininfluenti non so lui cosa sia» dice. Cancellando così quella foto del 4 ottobre dove tra di Maio, Manfredi e Fico c’era anche De Luca. Insomma l’anteprima della direzione provinciale del Pd all’Hotel Ramada è stata turbolenta a testimonianza che le bordate di De Luca hanno lasciato il segno.

Così, il sindaco Gaetano Manfredi - che era arrivato per celebrare la sua vittoria e quella del Pd che dalle urne è uscito primo partito della coalizione che comprende anche il M5S - si è trovato invece suo malgrado al centro di un fuoco incrociato di chi doveva delle risposte a De Luca.

Il sindaco in questo contesto ha gettato acqua sul fuoco e ammonisce: «Oggi nessuno vuole conflitti politici, posizioni tattiche o strategia, il voto che ci è stato dato è un messaggio che dice “vogliamo voltare pagina”». 

E infatti tiene al centro del suo discorso la città e le sue problematiche: «È bastata - racconta - una protesta dei dipendenti dell’Asìa e la città è ripiombata nell’incubo rifiuti. Un disastro annunciato. Parlerò con le aziende, questi scioperi sono intollerabili per i cittadini». L’annuncio - nella sostanza - che la trattativa con le maestranze e sindacati sarà aperta e senza pregiudizi, ma senza accettare ricatti di nessun tipo come è accaduto spesso e volentieri con gli stop improvvisi della metro, delle funicolari e della stessa Asìa. Per Manfredi la città «viene da dieci anni di populismo in salsa napoletana di una rivoluzione solo annunciata e di pochi fatti. Oggi i cittadini ci chiedono risposte sulla fatica di vivere a Napoli dai trasporti ai rifiuti». E ancora: «Si è risvegliata l’idea che Napoli può essere protagonista per tutto il Sud, abbiamo una grande responsabilità. La gente ha capito che c’è un modo diverso di fare politica, anzi un modo antico: cioè costruire una città affidabile e stare al fianco dei cittadini. Fare delle cose concrete anche piccole ma che siano fatti volti a migliorare la vivibilità dei napoletani».

Un Manfredi tranchant: «Siamo una città immobile, veniamo da 10 anni di occasioni perdute, all’interno del nostro successo c’è voglia di cambiamento e per poter rispondere bisogna mettere in moto il Comune. Negli ultimi dieci anni si è avuta la percezione che chi faceva l’assessore si trovava lì per caso». Il tema è molto sentito dal fratello del sindaco Massimiliano, consigliere regionale del Pd, che dopo 4 mesi rompe il silenzio e dà una svegliata al partito: «Anche all’interno del Pd dobbiamo aprire una nuova stagione di centralità del Mezzogiorno nelle politiche e nella costruzione dello stesso Pd. Non è una questione che riguarda solo gli assetti di Governo, anche il Pd a tutti i livelli deve rendersi conto che dopo i netti successi delle Regionali e delle Comunali di Napoli, deve aprire una riflessione sulla centralità del Mezzogiorno nelle sue politiche. Nella rigenerazione e nel ridisegno del partito, il Sud, Napoli e la Campania devono contare di più». 

È noto che tra i dem anche i giorni della felicità per un successo che mancava da 10 anni può diventare l’occasione per polemizzare. È evidente che le ferite del passato hanno lasciato una traccia profonda. Bruna Fiola, consigliera regionale, spiega: «La vittoria non è del Pd e della coalizione, ma di Manfredi. Ha messo in campo una lista civica in 30 giorni, che è arrivata seconda e non ci sono figure riconoscibili del Pd, mentre nelle altre liste sì». La chiusura del cerchio è di Sarracino: «Siamo partiti dal dato di fatto che nel 2011 e nel 2016 non siamo arrivati nemmeno al ballottaggio. E nessuno scommetteva che avremmo preso il 12% diventando il primo partito». Quindi l’affondo finale: «Si poteva fare di più? Certo, Bassolino ha sottratto qualcosa così come l’avere una coalizione di 13 liste. Ma abbiamo combattuto e respinto chi si voleva candidare solo per essere eletto come se il Pd fosse un taxi». 

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