Torre Annunziata, Paolo Siani: «Deluso, ma diamo speranza ai ragazzi»

Torre Annunziata, Paolo Siani: «Deluso, ma diamo speranza ai ragazzi»
di Daniela De Crescenzo
Sabato 7 Maggio 2022, 08:29
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«Certo, sono deluso, dispiaciuto, rammaricato. Come potrei non esserlo? Ma sono certo che la parte buona della città, che è la stragrande maggioranza, sia contenta di avere tra i suoi concittadini anche Giancarlo»: il deputato Paolo Siani, fratello del cronista del Mattino ammazzato dalla camorra, aveva accolto di buon grado, come un segnale di speranza, la decisione dell'amministrazione comunale di Torre Annunziata - la stessa che due giorni fa è stata sciolta per infiltrazioni di camorra - di conferire nel dicembre 2019 la cittadinanza onoraria alla memoria di Giancarlo, e aveva partecipato con emozione alla cerimonia. Ora è amareggiato, ma non rassegnato.

Dunque, continua a sperare?
«Sì, vorrei guardare questa vicenda con gli occhi pieni di speranza, ma anche di impegno, dei ragazzi della scuola Giancarlo Siani della stessa Torre Annunziata o di quelli del liceo di Cicciano che ho incontrato pochi giorni fa, o delle tante scuole in cui sono stato in questi anni.

Quegli occhi ci interrogano e quei ragazzi non meritano questa classe dirigente. Come non la meritano i tanti ragazzi che vivono nei 257 comuni sciolti per mafia».

Non le sembra nulla sia cambiato rispetto al 1985, quando fu ucciso Giancarlo che a lungo aveva denunciato le collusioni tra la camorra e i politici torresi?
«Se guardo quei tanti ragazzi che pochi anni fa hanno sfilato a Torre Annunziata dietro la Mehari di Giancarlo dico che tanto è cambiato. Ma l'impegno dei ragazzi non basta, non è sufficiente: bisogna dare loro delle opportunità concrete».

Si teme che il Pnrr possa offrire ai clan nuove opportunità per fare affari. Come era successo negli anni 80, a Torre Annunziata e non solo, con i fondi della ricostruzione post terremoto e quelli dell'edilizia scolastica. La storia rischia di ripetersi?
«Il dato più preoccupante riguarda le amministrazioni recidive: sono tante quelle al secondo o al terzo provvedimento, dimostrando che c'è molto lavoro da fare per far sì che accanto allo scioglimento si costruisca un percorso di legalità, con l'obiettivo di interrompere un rapporto di connivenza e soggezione nei confronti dei clan mafiosi. I clan che prosperano a Torre Annunziata sono esattamente gli stessi di 37 anni fa. Questo vuol dire che chi nasce in una famiglia mafiosa non può che diventare mafioso, a meno che lo Stato non intervenga prima offrendo a quella famiglia un'altra possibilità. Questo non è stato fatto. E invece questa è la strada da percorrere. Diamo un'opportunità a questi ragazzi prima che intraprendano la strada della malavita senza averla potuta scegliere ma piuttosto subendola, proprio come una malattia genetica che si trasmette inesorabilmente di padre in figlio».

Interrompere la catena del malaffare: le sembra veramente possibile?
«La mafia non si sceglie, si eredita. Le madri crescono i figli per consegnarli a un mondo mafioso, i figli sanno che un giorno dovranno fare il mestiere dei padri. Una catena familiare che si tramanda solida, affidabile, inevitabile, generazione dopo generazione. Questa catena va spezzata. Bisogna dare a questi ragazzi una possibilità. Renderli liberi di scegliere. Perché se un ragazzo ha una possibilità di vivere una vita normale non sceglierà mai la strada delle mafie. Ma è necessario che qualcuno mostri loro altri mondi, altre vite, un futuro in cui possano realizzare i loro sogni. Serve una terapia specifica sviluppata e prodotta per un singolo individuo partendo dalle sue stesse cellule immunitarie. E del resto qui stiamo parlando di un cancro, la mafia, che non lascia possibilità di salvarsi a chi la sceglie».

È sicuro di non illudersi?
«Assolutamente certo. Dei segnali positivi ci sono e non vanno trascurati. Il Quadrilatero delle carceri, il fortino del clan di cui tanto ha scritto Giancarlo, è stato confiscato e sono in stato avanzato tutte le procedure per farlo diventare una cittadella delle forze dell'ordine, la ministra Lamorgese ha fortemente a cuore il progetto e il cronoprogramma prevede tempi precisi di realizzazione con consegna dei lavori tra due anni. È un progetto molto ambizioso. Questo vuol dire che la strada della legalità è più lenta ma c'è e che Fortapasc verrà espugnato dallo Stato».

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