Le regionali e la sindrome dell'auto(in)sufficienza

di Paolo Mainiero
Martedì 11 Giugno 2019, 08:00
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Sarà una lunga campagna elettorale, fino alle regionali del prossimo anno e più in là fino alle comunali del 2021. Non a caso il voto delle recenti amministrative è letto dai partiti come una prova generale delle scadenze future, a cominciare dalla rivendicazione delle leadership non in base a programmi e proposte ma sulla base dei voti ottenuti. In questo senso, guardando alle regionali, mentre il centrosinistra il problema non se lo pone perché il candidato naturale è De Luca, nel centrodestra la competizione tra Lega e Forza Italia è destinata a monopolizzare il dibattito dei prossimi mesi.

A voler leggere il risultato delle europee, in Campania il centrodestra è oggi maggioranza con il 38,6 per cento, che è sicuramente tanto ma è anche quanto la coalizione prese (più o meno anche in termini di voti reali) alle regionali del 2015 quando Caldoro perse contro De Luca. A cambiare è il rapporto di forze con la Lega che ha pressoché svuotato Forza Italia. Questo dato serve per dire che l'unità del centrodestra, per quanto sia un valore, non è sufficiente, non è certezza di vittoria. Del resto, lo conferma proprio il risultato delle amministrative che ha visto la coalizione soccombere a Nola, Bacoli, Casoria, Aversa, Ariano Irpino, Capua, Sarno. Insomma, l'unità è una pre-condizione, da sola non basta, e limitarsi a discutere su chi debba mettere la bandierina, se la Lega o Forza Italia, rischia di apparire un gioco che interessa solo le nomenklature. La ricerca di una leadership è decisiva ma se inserita in un contesto di programmi e di alleanze.

Lo stesso discorso vale per il centrosinistra, che dà segnali di vita e vince in molti comuni grazie a coalizioni allargate alle liste civiche. Il Pd, che pure non ha presentato il simbolo in alcune città dove ha vinto (Nola, Capaccio), anche a queste amministrative ha dovuto fare i conti con divisioni interne, le più eclatanti quelle di Avellino e Casoria, dove hanno vinto candidati di area sostenuti da pezzi del partito. In taluni casi il civismo ha coperto l'insufficienza del Pd, più in generale il voto ha detto che l'apertura alla società è l'unica strada che in questa fase il partito può percorrere per allargare la coalizione.

Cercare nuove alleanze sociali, recuperare un rapporto con il mondo del lavoro (ma la voce del Pd sul caso Whirlpool si è sentita?) è una strategia che deve accompagnare i Dem da qui ai prossimi mesi, incidendo in modo particolare a Napoli, che resta un ventre molle e dove vanno poste le condizioni anche per le comunali del 2021. Pensare di vincere, innanzitutto le regionali, senza un forte apporto di Napoli è operazione velleitaria e il primo a doversene rendere conto è proprio De Luca.

Il voto delle amministrative dice anche che in Campania torna di moda l’antico bipolarismo. È vero, alle europee il M5s si è confermato, seppure in forte calo, il primo partito in tutte le province. Tuttavia le amministrative hanno ancora una volta provato la inconsistenza a livello territoriale dei grillini, fermi nel loro isolamento e incapaci di arrivare anche a un solo ballottaggio. Per le regionali servirà un progetto che vada oltre l’autosufficienza, ed è quanto ha capito il sindaco di Napoli de Magistris che si sforza (finora non corrisposto) di tendere la mano all’ala del M5s che fa capo a Roberto Fico e di tessere una tela con l’arcipelago della sinistra. 

In sintesi, la politica campana è tutta un cantiere nel quale si inserisce a pieno titolo il tema dell’astensionismo. La bassa affluenza, prima alle europee e poi ai ballottaggi, non è roba che può essere archiviata con una scrollata di spalle. Il disagio è forte e investe ampi e vari strati della società che guardano con distacco e sfiducia a una politica che non ritengono in grado di dare risposte. Chi riuscirà a riempire questo vuoto, riannodando il filo del dialogo e della credibilità con proposte serie e non con promesse vuote, probabilmente metterà una ipoteca sulle prossime elezioni.
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