Sceglie la festa dell'Unità di Bologna per attaccare il suo partito. Ma d'altronde il governatore De Luca è fatto così e i vertici democratici sanno pure che lui non ha peli sulla lingua. E, ieri sera, davanti a una platea tutta democrat, annuncia due cose del suo futuro che si intersecano con la vita stessa del partito. La prima: «Assolutamente sì al terzo mandato; la seconda: «Serve un congresso per decidere la linea del partito». E fa capire chiaramente l'intenzione di voler scendere in campo per scalare il partito al prossimo voto per deciderne la leadership.
«Assolutamente sì, mi ricandido per un terzo mandato, a meno che non ci sia qualcosa di meglio», dice De Luca a Lucia Annunziata che l'intervista sul palco. «È una demenzialità tutta del Pd: se te ne devi andare a casa dopo uno, due, tre mandati lo devono decidere i cittadini italiani non le burocrazie romane», aggiunge lui spiegando quale sarà la strada: il modello Zaia. «In questo momento la Campania - spiega De Luca - non ha una legge elettorale e non c'è alcun limite.
Ma attenzione perché, per la prima volta, rende pubblico quello che si mormora da tempo: rivendicare un ruolo nazionale nel partito. Scendendo in campo, è probabile, in caso di congresso per giocarsi la leadership del partito.
«Dobbiamo chiarire molte cose del Pd perché io sono fortemente critico. Noi eravamo - ragiona l'ex sindaco di Salerno - al 19 per cento ed oggi lo stesso. In questo anno e mezzo i 5 stelle hanno perso metà dell'elettorato, la Lega più della metà dei voti rispetto alle elezioni europee. Si è messo in movimento, insomma, circa il 30 per cento di elettori ma nessun verso il Pd. Anzi la sua capacità di attrazione è pari a zero». Sui motivi ci arriva un minuto dopo: «Dal punto di vista del programma, il Pd è il partito di cosa?», domanda retoricamente prima di spiegare: «Se un cittadino me lo chiede, io non saprei cosa rispondere. Ma davvero pensiamo parlare a un fronte maggioritario così?». Per il governatore i nodi programmatici sono almeno tre: «La sicurezza, un bisogno fondamentale che noi abbiamo lasciato a Salvini»; «Sud su cui non abbiamo approntato un piano lavoro, come dicevo a Renzi, lasciando a noi l'onere di svolgere un concorso nella Pa anche se il Pd non ha mai detto nulla». E terzo: «La palude burocratica e il reato di abuso d'ufficio che bloccano questo Paese». Da qui l'idea che si stia preparando a scalare il partito: «A questo punto non escludo nulla ma ora concentriamoci sulle elezioni amministrative. Poi al Pd serve subito un congresso per decidere cosa vogliamo essere».
E subito dopo elenca quelli che sono gli errori del partito («del nulla», sottolinea). E lo fa con frecce avvelenate che sono tutte rivolte al segretario Enrico Letta con cui, è noto, ogni rapporto è stato interrotto quando il primo era a capo del governo. Ma sciabolate ci sono anche per il ministro del Lavoro Orlando per la vicenda delle delocalizzazioni delle aziende: «Nella vicenda ha ragione Bonomi che ha detto cose giuste e posto questioni vere: se non hai una fiscalità di vantaggio o una uniforme a livello europeo non puoi competere». Eppure, attacca «il Pd parla di tassa di successione, dei 10mila euro da dare ai 18enni, del voto ai sedicenni e ci imbarchiamo per una crociata sulla legge Zan». «Ma questo è il programma del Pd? Con queste proposte va bene se confermiamo il 19 per cento». E proprio sulla legge Zan rincara: «Certo che dobbiamo difendere i diritti, ma non è immaginabile che su questioni morali al di là della politica dobbiamo ideologizzare i problemi. Così com'è il ddl Zan non lo avrei votato». E anzi per De Luca: «La legge non è stata approvata e non sarà approvata». Infine chiude: «Noi stiamo facendo le agora' ma cosa frega ai lavoratori? Quando abbiamo tante cose da ricostruire in un partito che ha ereditato il peggio della sinistra storica e della Dc». Anche se apre uno spiraglio finale: «Il Pd insomma è una casa un po' sgangherata ma abbiamo solo questa per dare una prospettiva all'Italia».