Whirlpool, spunta una norma per salvare la fabbrica di Napoli

Whirlpool, spunta una norma per salvare la fabbrica di Napoli
di Valerio Iuliano e Francesco Pacifico
Venerdì 7 Giugno 2019, 07:30 - Ultimo agg. 13:05
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Luigi Di Maio, martedì scorso al Mise, gliel'aveva giurato al capo di Whirlpool in Italia, Luigi La Morgia: «Lo Stato si farà rispettare, perché non si cambiano le carte in tavola dopo 7 mesi». Detto fatto, perché il vicepremier e ministro dello Sviluppo avrebbe dato mandato ai suoi uffici per studiare una norma per evitare che la multinazionale americana lasci il sito di via Argine, dopo aver inserito anche lo stabilimento nel piano industriale di rilancio presentato lo scorso ottobre. E sarebbe soprattutto uno il fronte sul quale si starebbe lavorando in via Veneto: rafforzare le procedure per bloccare gli incentivi pubblici per le imprese che ottengono ammortizzatori sociali e poi chiudono.
 
I tempi sono molto stretti e non soltanto perché Di Maio attende dalla multinazionale americana entro una settimana delle «soluzioni alternative» - soprattutto offerte di vendita - per garantire la continuità a via Argine. Qualcosa potrebbe arrivare già lunedì prossimo, quando il governo attraverso i relatori presenterà gli ultimi emendamenti al decreto Crescita. Provvedimento nel quale il Mise ha già introdotto un fondo (da 100 milioni di euro) e un registro speciale per i marchi storici presso l'Ufficio italiano brevetti dello stesso dicastero, ma anche una serie di paletti alle delocalizzazioni, che impongono alle aziende che vogliono trasferirsi all'estero di individuare attività sostitutive e di pagare multe pari al 3 per cento del fatturato, se non si comunicano in tempo al ministero di via Veneto le proprie intenzioni.

Il Mise ha comunicato che per il sito di via Argine si accinge a stanziare 8 milioni di euro, necessari a rimodernare una delle linee di produzione. Soldi che in caso di chiusura il governo rivuole indietro, come già avvenuto in passato con l'Alcoa a Portovesme. Ma Di Maio vorrebbe congelare anche i 14 milioni che l'azienda americana si vedrà erogare per il sito di Fabriano. Il vicepremier, però, potrebbe avere le armi spuntate. L'attuale normativa sugli incentivi alle imprese vincola l'utilizzo di queste risorse in base all'effettiva spesa nello stabilimento per il quale sono stati chiesti oppure sono legati al raggiungimento di determinativi obiettivi in campo produttivo o occupazionale. In quest'ottica la struttura che in via Veneto affronta le crisi aziendali e l'ufficio legislativo dello stesso Mise starebbe studiando una norma per vincolare - e quindi poter richiedere indietro - tutti i fondi pubblici erogati alla stessa azienda all'interno di un piano di rilancio nazionale, indipendentemente dall'impianto da dove sono spesi. Tradotto, se si chiude a Napoli, non arriverà denaro pubblico per i siti delle Marche o quello di Siena. Ma per farlo serve una nuova legge. Intanto il vicepremier ieri ha tuonato di nuovo: «Sono stufo di aziende che firmano gli accordi e poi non vi tengono fede».

«Ho 51 anni. Sono sposata con 2 figli. Lo stipendio fisso lo prendo solo io nella mia famiglia. Mio marito ha sempre fatto lavori saltuari. Ora come faccio ad aiutare i nostri figli?». La storia di Patrizia, dipendente dal 1998, ha alcune analogie con quelle degli altri operai Whirlpool. Ma, nello stesso tempo, la sua vita lavorativa ha avuto un percorso differente. «Facevo le mascherine per la superficie esterna delle lavatrici. Poi un giorno ho deciso di fare l'approvvigionatrice. Sono stata la prima donna a farlo, perché si tratta di un lavoro molto pesante e perciò riservato agli uomini. Guidare il muletto, caricare e scaricare, è un'attività faticosa, tanto che a volte gli uomini mi prendevano in giro. Ma questo mi ha consentito di fare una bella carriera in azienda, anche se siamo in solidarietà da sette anni. Ora sono un po' pessimista. Siamo nelle mani degli americani». Le angosce di Patrizia sono comuni a quelle dei suoi colleghi, riuniti nel piazzale di via Argine per il settimo giorno consecutivo, con tre turni di otto ore, in modo tale da presidiare la fabbrica per tutte le 24 ore.

Ieri gli operai hanno effettuato un sit-in su via Argine, dinanzi allo stabilimento, per poi dirigersi in corteo fino al Centro Direzionale. La lotta continua.

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