I ricordi di Andrea Sannino:
«Noi, cinque in una stanza
a Vico Santa Rosa»

I ricordi di Andrea Sannino: «Noi, cinque in una stanza a Vico Santa Rosa»
di Maria Chiara Aulisio
Sabato 27 Aprile 2019, 18:00 - Ultimo agg. 20:00
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Benché fosse molto piccolo, gli anni vissuti a Novara li ricorda ancora bene. Lo portarono lì che neanche andava a scuola, Andrea Sannino - lo scugnizzo di vico Santa Rosa a Ercolano, quello che ha iniziato la carriera duettando Caruso con Lucio Dalla. Poi, Mertens ha fatto il resto, cantando a squarciagola la sua Abbracciame mentre girava un video che, in poche ore, fece il botto sul web. Adesso colleziona un sold out dopo l'altro, lo scugnizzo, appena diventato papà e pronto a tirar fuori un nuovo disco.


Andrea, come mai finì a Novara?
«Mio padre faceva il barbiere, era pure famoso, lavorava in piazza Pugliano. Però, il posto fisso è un'altra cosa ci diceva; e così, quando fu assunto come bidello a Novara, accettò. Armi e bagagli, ci trasferimmo in Piemonte».

Mica facile.
«Per me sì. Ero piccolo, e di lasciare Ercolano non mi importava tanto, amici ancora non ne avevo. Anzi fui proprio contento, lì avrei finalmente vissuto in una casa vera».

Che cosa vuol dire casa vera?
«A vico Santa Rosa stavamo in cinque in trenta metri quadrati, a Novara tenevamo un appartamento che mi pareva 'na reggia. Ognuno di noi aveva una camera, un lusso esagerato. A parte questo, per certi versi la vita di mamma e delle mie sorelle fu abbastanza dura».

Differenze tra nord e sud?
«So' razzisti adesso - non tutti, per carità -, immaginate più di venti anni fa. Per fortuna, dopo un po', papà ebbe il trasferimento a Portici, e ce ne tornammo».

Andaste a vivere lì?
«No, di nuovo a vico Santa Rosa: mamma non voleva sapere niente. Lì viveva tutta la sua famiglia e lì voleva stare pure lei».

Sempre negli stessi trenta metri?
«Certo. Non ci misi manco tanto a riabituarmi. Dopo qualche però anno andò meglio, le mie sorelle si sposarono e cominciammo a stare un po' più larghi».

Passiamo alla scuola. 
«Me la sono sempre cavata. Soprattutto quando si organizzavano le recite».

Il talento cominciava a venire fuori?
«Mi piaceva assai il teatro, quella era la mia passione; allora, alla musica manco ci pensavo. Tenevo la faccia tosta e a scuola mi facevano recitare qualsiasi cosa».

Lo studio?
«Mi iscrissi alla scuola alberghiera, sempre buoni voti. Soldi purtroppo non ne avevamo. Il futuro bisognava guadagnarselo. È vero che volevo recitare, ma poi pensai Se non riesco a fa' l'attore, comme campo?. Così mi diplomai cuoco, e pure con ottimi voti». 

Però in cucina non c'è mai stato.
«Come no. Nell'attesa di fare l'artista, dovevo campare in qualche modo: davo una mano nei ristoranti, mentre frequentavo le compagnie amatoriali - quelle della parrocchia, per capirci -, che poi sono state la mia vera palestra. Soldi per studiare recitazione non ce n'erano, il mestiere l'ho imparato così. Una volta, nello stesso giorno, andai a scuola la mattina, recitai il pomeriggio e chiusi la serata pelando patate in una trattoria».

Se l'è faticata.
«Fino in fondo. D'altronde, l'impegno e l'educazione familiare mi hanno salvato dalla strada. In quegli anni Ercolano era una polveriera. Giocavamo a calcio in piazza Pugliano, in pieno pomeriggio, e all'improvviso cominciavano a sparare». 

Quanti amici ha perso?
«Tanti. Ancora oggi, quando vado a cantare nelle carceri, in platea c'è sempre qualcuno che conosco. Non era facile salvarsi, se alle spalle non avevi dei genitori tosti».

I suoi lo erano?
«Le regole a casa mia erano chiare: rispetto e legalità. Non è che, siccome non c'erano soldi, ognuno era autorizzato a procurarseli come voleva. E poi eravamo felici lo stesso. Il motorino, ad esempio, non l'ho mai avuto, ma non mi importava».

Vacanze?
«Ogni tanto papà ci portava a Seiano a fare il bagno, con la circumvesuviana. La prima vacanza l'ho fatta a 18 anni, quando andai a lavorare come animatore in un villaggio turistico: mettevamo in scena spettacoli tutte le sere, stavo nel mio. Lì ho conosciuto Marinella, mia moglie, era venuta a fare le vacanze con tutta la famiglia».

Dal villaggio turistico a Lucio Dalla. Ma come vi siete incontrati?
«Era il 2006, partecipai a un provino per un programma tv: Il treno dei desideri, quello della Clerici. Eravamo in settecento, tutti giovani cantanti fan di Dalla, ma uno solo avrebbe avuto il privilegio di cantare con lui. Gli altri erano malati veramente, sapevano tutto di Lucio e delle sue canzoni. Io ricordavo solo Attenti al lupo». 

Però, scelsero lei.
«Non ci potevo credere. Alla fine mi disse Sai che sei bravo?».

Bella emozione.
«Soprattutto il giorno dopo: Lucio doveva esibirsi a San Giovanni a Teduccio e mi chiese di cantare con lui. Mi ritrovai davanti a ventimila persone, io che ero abituato al pubblico della parrocchia».

Dalla, il big bang della carriera di Andrea Sannino.
«Poi Scugnizzi, nel 2010. Feci il provino con Mattone, sperando al massimo in un ruolo da comparsa, e invece mi scelse come protagonista. Un successo enorme. Anche se poi mi ritrovai di nuovo disoccupato: finito il musical, finito il lavoro».

E Abbracciame?
«Sul mio canale YouTube è a milioni di clic. Per mesi in testa alla classifica Spotify. Devo ringraziare Mauro Spenillo e Pippo Seno: è pure merito loro se abbiamo sfondato».

E un po' anche di Mertens, o no?
«Una bottarella me l'aveva già data Gigi D'Alessio, invitandomi a cantarla a Made in Sud, ma Mertens mi ha fatto una pubblicità pazzesca. Finalmente stasera sto ccà 'nzieme a te, e nisciune po' sentere. So' 'nu poco scurnuse e 'sti ccose, tu 'o ssaje, nun so' buono a l' 'e ffa'... - pure a Novara la sanno. E quando sono andato alla festa di addio di Pepe Reina, la cantava tutto lo spogliatoio. E so' soddisfazioni».
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