Cinque donne e dodici scatti per dire Napoli: una mostra dedicata alla sua materia composita

Cinque donne e dodici scatti per dire Napoli: una mostra dedicata alla sua materia composita
di Benedetta Palmieri
Venerdì 7 Dicembre 2018, 19:07
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Napoli è una città dalla quale difficilmente si prescinde, un luogo che non è solo geografico, ma si compone di simboli più e meno tangibili, di atti e di sentimenti, spesso di passato, oltre che di un presente denso e sempre un po’ complicato. E, ovviamente, si compone pure di quanto di intimo, autobiografico, personale ciascuno di noi lega a lei. 

“Dire” Napoli può dunque significare tante cose diverse, e è in un certo senso da qui che muove l’idea di “doDICINAPOLI” – mostra fotografica in dodici scatti, ospitata nello spazio artistico di Fabrizio Scala (a via Piscicelli 1/h; inaugurazione venerdì 7, dalle 18.30 alle 21). 

L’esposizione è curata da Barbara Migliardi, e trova peraltro posto nello studio di Scala che – “pittore pop” recentemente aggiudicatosi il “Premio San Gennaro” – è noto proprio per una sua visione psichedelica della città. 
 
Ma veniamo ai “racconti fotografici” e alle cinque donne che li hanno tratteggiati: Claudia Mozzillo, Barbara Fiorillo, Renata Cagno, Maria Cristina d’Onofrio e Stefania de Rosa, che narrano una Napoli “protagonista di viaggi nel tempo o cornice segreta di storie private” – una città fatta pure della vita delle persone che la abitano (o forse ne sono abitate), delle suggestioni oniriche e ludiche, di natura e storia. 

Ciascuna di queste fotografe ha individuato un ambito, un proprio percorso, uno squarcio o un frangente, e – sebbene valga la pena andare a scoprirli di persona – se ne può dare un po’ conto anche qui. 

Claudia Mozzillo, con “Flegrea”, torna alle origini, riafferma il senso di appartenenza al luogo dove si è nati, quel luogo che – chi sa per quale mezzo – ci resta inevitabilmente dentro, forgiando almeno parte della nostra identità; un luogo che talvolta si riacquisisce grazie alla distanza o che si disvela con il ritorno a casa, ma che sempre si nutre di emozioni e ricordi. 

È invece alla nascita della città stessa che si è ispirata Barbara Fiorillo, con il trittico “Metamorfosi”, che rappresenta l’atto di trasformazione che ha portato la leggendaria Parthenope a essere la Napoli d’oggi, dalla cangiante e mutevole coda di sirena alla concretezza della materia. 

In “Non c’è tempo”, Maria Cristina d’Onofrio si focalizza su due particolari della basilica di San Francesco di Paola e del Maschio Angioino, con lo scopo e il risultato quasi di estrapolarli dai loro contesti, attualizzandoli e facendone dei dettagli fuori dal tempo, appunto. 

L’anima letteraria, quella della fiaba e del mito, è immortalata da Renata Cagno in “Ophelia”: la donna shakespeariana ritratta da John Everett Millais, preda del delirio, annega nelle acque di un fiume – che qui sono invece quelle del nostro Lago d’Averno, luogo che la leggenda vuole ingresso degli Inferi. 

Infine, il rassicurante rito napoletano del caffè diventa l’occasione per Stefania de Rosa di un incontro – sentimentale e confidenziale – con l’amico Vittorio Carità: “Ti offro un caffè con le tazzine belle” lo ritrae allora tra le cose di una quotidianità insieme semplice e accurata, fatta di sguardi e sigarette, Buddha e naturalmente caffè. 

 
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