Sorrento: le donne ucraine protagoniste ​della mostra “St. Javelin” di Julia Krahn

Sorrento: le donne ucraine protagoniste della mostra “St. Javelin” di Julia Krahn
Lunedì 23 Maggio 2022, 17:29 - Ultimo agg. 18:53
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“St. Javelin” è il titolo del progetto di Julia Krahn, realizzato in collaborazione con il comune di Sorrento e l’associazione Festivà, che inaugura la nuova edizione della rassegna di eventi “Sorrento incontra” venerdì 27 maggio alle 19 in piazza Tasso a Sorrento. Una speciale esposizione allestita all’aperto lungo il corso Italia, da piazza Tasso a piazza Veniero, palcoscenico d’eccezione delle giganti opere fotografiche dell’artista tedesca in cui sono protagoniste le rifugiate ucraine in penisola sorrentina, invitate a raccontarsi attraverso immagini e interviste.

La mostra “St. Javelin”, subito dopo l’inaugurazione a Sorrento, sarà esposta in contemporanea in Grecia, al festival internazionale di arte contemporanea Paxos Biennale, dal 4 giugno al 31 ottobre 2022.

Il progetto presenta un corpus di 9 immagini stampate su teli di grandi dimensioni, bandiere che sventolano libere fra i balconi e i lampioni, creando un’esperienza di impatto e unione nel cuore del centro storico di Sorrento. Lo spettatore è invitato ad attraversare il corso principale per incontrare gli sguardi, i simboli, le storie di otto donne ucraine rappresentate come icone laiche, sante quotidiane portatrici di un messaggio di pace, orgoglio e dignità, più un’immagine, la nona, un autoscatto dell’artista che rappresenta il suo modo di combattere la guerra con l’arte e la cultura.

Ad affiancare i ritratti, testi e interviste a cura di Francesca Massa, che il pubblico potrà leggere scansionando il Qr code esposto lungo il percorso della mostra, in cui le donne danno voce ai loro volti attraverso i racconti delle proprie esperienze in guerra.

«Non parlo della guerra, delle sue impossibili ragioni per esistere o di chi la sta tenendo accesa, ma delle persone che la subiscono» spiega Julia Krahn «Indifferentemente da pensiero, posizione o status, sono fuggite per salvare i loro bambini e hanno lasciato indietro i loro mariti. Oltre alla propaganda esistono persone reali. Ognuno con la sua storia. Io accolgo in studio chi ha voglia di condividere la sua. L’arte ha da sempre creato ponti fra mondi e pensieri diversi, è un’arma importantissima per combattere la guerra».

«L’arte è universale, per cui un’immagine parla in tutte le lingue del mondo» afferma Rossella Di Leva consigliera comunale a Sorrento. «L’installazione di Julia Krahn vuole essere un grido di dolore ed un inno alla Pace».

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Il titolo della mostra, St. Javelin, è il nome di una Santa nata in guerra, ispirata al missile “Javelin” mandato in Ucraina in sostegno della resistenza, diventata il simbolo di una madonna protettrice. Proprio il paradosso di una madre che tiene in mano un’arma, la morte invece della vita, è stato il motore che ha avvicinato Julia Krahn alle donne ucraine. L’unica “arma” che l’artista intende usare è l’empatia, da qui la scelta di inserire un autoscatto nel progetto, dove lei stessa ha in mano il suo strumento per combattere la guerra, il pulsante della macchina fotografica. Julia Krahn invita le rifugiate a fare lo stesso, invitandole nel suo studio sorrentino e chiedendo a ognuna di loro di descrivere le proprie armi di resistenza quotidiana, fatte per costruire e mai per distruggere. Una madre non sceglierebbe mai la guerra per i propri figli.

I grandi tessuti sovrastano lo spettatore con tutta la potenza di un’immagine senza supporti, vetri o cornici, che ricorda gli elementi pittorici dei grandi affreschi, eliminando ogni distanza tra il fruitore e l’ambiente. Le donne ucraine sono rappresentate in blu e in giallo, una scelta di colori che vuole sottolineare il legame con la propria bandiera.

L’artista indaga da sempre sulla sacralità femminile, sull'iconografia classica e sui simboli, facendosi portavoce di un tema attuale, creando una sinergia tra bellezza e drammaticità, senza mai perdere di vista la realtà. Le protagoniste delle foto raccontano storie vere, indossano con dignità il dolore per farsi testimoni di una storia che ha bisogno di essere raccontata da chi l’ha vissuta.

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