Gli «SplendOri» di Ercolano la città del lusso e del vino

Gli «SplendOri» di Ercolano la città del lusso e del vino
di Carlo Avvisati
Martedì 18 Dicembre 2018, 10:41
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Era un ufficiale di marina. Forse del «genio», visto che portava con sé uno zainetto di cuoio al cui interno c'erano scalpelli e martello. Comandava la barca veloce e affusolata mandata da Plinio il Vecchio a Ercolano per salvare dall'eruzione vesuviana del 79 dopo Cristo l'amica Rettina, che gli aveva inviato una richiesta d'aiuto a Miseno, dove era acquartierata la flotta romana del Mediterraneo. Morì, l'uomo, assieme all'equipaggio del legno, sulla marina di Ercolano antica. Dunque, secondo Francesco Sirano, direttore del parco archeologico di Ercolano, non erano di uno schiavo, bensì di un alto ufficiale della flotta misenate, i resti umani trovati nel 1982 dagli studiosi, accanto alla barca, e con ancora addosso una cintura, un pugnale con elsa lavorata in osso e lama di ferro. Attaccata alla cintura, d'argento e finemente lavorata, l'uomo aveva un sacchetto di pelle con alcune monete d'oro; sul fianco sinistro dello scheletro si trovò anche il gladio con i segni del comando: borchie di bronzo simili a quelle della cintura e fodero di legno e cuoio.

Storie di vita e di morte. Di lusso e di operosità. Questo raccontano i centosettanta pezzi che da giovedì e sino al 30 settembre 2019 saranno visibili in «SplendOri. Il lusso negli ornamenti ad Ercolano», la mostra che ha aperto i battenti nelle sale al piano terra dell'Antiquarium del Parco. Una rassegna dove la parte del leone la fanno, ovviamente, le tante gioie: collane, bracciali e pietre preziose. «Con questa mostra» sottolinea Sirano «proponiamo una serie di materiali che don Amedeo Maiuri, il grande archeologo che tra gli anni Venti e gli anni Cinquanta del secolo scorso scavò l'Ercolano sepolta dal Vesuvio nel 79 dopo Cristo, voleva esposti in maniera permanente e diamo la possibilità di vedere oggetti mai mostrati prima».

Pezzi che raccontano tanto della vita comune quanto del lusso di una cittadina da sempre considerata quale luogo di vacanza per eccellenza, contrariamente alla vicina Pompei che veniva vista come importante centro di commerci e scambi con l'entroterra. E invece, a Ercolano, c'era tutta una società che si muoveva, trafficava, acquistava, vendeva, produceva. Anche vino. Forse quello stesso «vesvinum», vino vesuviano, tanto citato nei classici, che oltre che dagli appezzamenti della vicina Pompei veniva prodotto anche a Ercolano. Lo attestano numerose anfore con scritte in cui si cita appunto «Vino da Ercolano».

Un discorso a parte meritano le gioie trovate nei fornici sottostanti le terme, affaccianti proprio sulla sabbia della marina antica. Là, nel 1982 la caparbietà e l'intuito dell'archeologo Peppino Maggi, che collegava il mancato ritrovamento di scheletri nella parte scavata della città con la possibilità che gli ercolanesi si fossero rifugiati sulla marina nel tentativo di prendere mare e mettersi in salvo, fecero ritrovare una vera e propria istantanea della tragedia: decine di scheletri fissati per sempre nell'attimo della morte: la mamma che abbraccia il figlioletto; l'amico che si stringe all'amico; la donna che si copre il volto per difendersi dalla nuvola infuocata; la bocca spalancata dell'uomo nell'ultimo istante di vita. E, su quei resti si trovarono gioielli. E monete. Tesoretti, che chi scappava portava con sé. «Un segno distintivo di ricchezza e nobiltà dice Sirano erano appunto i gioielli: una matrona romana non si sarebbe mai sognata di uscire di casa senza le sue gioie». Per questo, anche nella fuga, quei gioielli si trovavano alle loro braccia, al collo, o orecchini, ai lobi.

La mostra, che per il sindaco Ciro Buonajuto «è un risultato importante per una città che su cultura e turismo intende puntare per sviluppare il proprio futuro», si propone appunto di presentare al visitatore oltre a monili d'oro e agli oggetti preziosi anche manufatti di uso quotidiano che appaiono non comuni per fattura e materiale. Come la cassetta del chirurgo con gli specilli e la pietra per affilare il bisturi. O, ancora, quel porta lucerne che si stava restaurando, perché aveva un braccio spezzato, trovato nella bottega del plumbarius, lo stagnino. E poi c'è il gran numero di gemme che sono state trovate nella bottega del gemmarius, l'orefice, che produceva gioielli straordinari per le matrone ercolanesi; e il magnifico e ricco servizio da mensa in argento trovato nelle scavo di Moregine, una decina di anni fa.

«SplendOri», tuttavia non sarà un'iniziativa isolata. «Il nostro obiettivo» rivela l'archeologo «è quello di offrire a chi viene a Ercolano occasioni di approfondimento. Prossime mostre saranno su temi di arte lignea e dell'alimentazione. Il parco svolgerà così la giusta funzione di catalizzatore per la nascita di un ponte tra passato e futuro dell'area».
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