I film di «Resilienze» in tour all'Asilo: l'arte come strumento di riparazione

I film di «Resilienze» in tour all'Asilo: l'arte come strumento di riparazione
di Benedetta Palmieri
Giovedì 8 Novembre 2018, 15:40
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La capacità di reagire a un trauma, di riassestarsi nella propria forma dopo un’alterazione: resilienza è termine che, mutuato dall’ambito materiale, amplia il proprio significato a quello emotivo e psicologico. E è termine il cui uso sembra essersi maggiormente diffuso negli ultimi anni – un po’ forse perché semplicemente capita, un po’ forse perché di resilienza c’è bisogno, in questo mondo tendente a aggredire e deformare.
“Resilienze Festival” sceglie di interrogarsi a fondo sul concetto e di adoperare l’arte come mezzo per sondare legami tra diversi piani della società, e trovare il modo per “l’organismo di ripararsi dopo il danno”. “Resilienze” (informazioni all’omonima pagina Fb o sul sito resilienzefestival.it) è promosso da “Kilowatt”, e farà tappa questo giovedì 8 anche a Napoli, all’Asilo (alle 20.30 a vico Giuseppe Maffei 4), con una serata di confronto e proiezioni. Si aprirà con la presentazione del progetto e dei suoi significati, affidata a chi lo cura e a chi lo ospita; e a Rosario Capozzolo, Federico Cappabianca e Elena Starace – tre dei registi che porteranno i loro lavori. E veniamo a questi: alle 21 cominceranno le proiezioni.
Nelle prime due, la patologia si offre come spazio per recuperare un passato da cui trarre sostegno: per la “Peggie” di Rosario Capozzolo, la demenza si trasforma in un confortante viaggio attraverso epoche differenti della vita – viaggio che non le risparmierà, però, momenti di buio e dolore; mentre “Il signor Acciaio” è, nel corto di Federico Cappabianca, un vecchio giocattolo cui Vincenzo – costretto a affrontare la malattia – si aggrappa disperatamente.
Mentre la distopia sembra in qualche modo il filo conduttore dei due film successivi: Elena Starace porta la sua protagonista “Uccia” a confrontarsi con un futuro di terrore, in cui il Paese è ridotto a aree possedute da privati; la donna dovrà scegliere tra l’istinto di costruire e quello di distruggere, tra vita e vendetta. Aischa Gianna Müller si interroga invece sulla possibilità di un mondo in cui poter governare la natura, piegarne le leggi; questo suo “Tentativo di alterare le giornate” si risolverà attraverso immagini simboliche e oniriche, ma anche ironiche. “Redrigerator” di Silverio Desantis, seguendo con dei semplici passaggi la triste parabola di un pomodoro in un frigorifero, si focalizza sullo spreco alimentare.
Chiude “Entroterra” di Andrea Chiloiro, Riccardo Franchini, Giovanni Labriola e Matteo Ragno: l’analisi dello spopolamento di tanti paesi della dorsale appenninica, e il viaggio per capirne le cause, mostrano affinità forse impreviste o comunque geograficamente distanti, e si trasformano nell’ipotesi di una nuova possibile prospettiva.
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