Nella rassegna dell'Asilo, i film del passato immaginano futuri distopici

Nella rassegna dell'Asilo, i film del passato immaginano futuri distopici
di Benedetta Palmieri
Martedì 21 Maggio 2019, 18:39
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Diciamo subito che qui si parla di cinema, ma – come fa pure il titolo della rassegna, che è “Le origini di Black Mirror” – la riflessione passa anche per le serie televisive, che oggi più di altri si prendono il carico e la soddisfazione di disegnare il presente, di anticipare scenari, di suscitare riflessione e talvolta orrore. Perché, quella di immaginare un futuro distopico, è sollecitazione frequente e attraente, e ha dato vita a creazioni di enorme successo e bellezza, capaci di turbare e impensierire – ovviamente, anche sull’oggi.

Tra le serie, un posto di riguardo lo merita sicuramente “The Handmaid’s Tale”, la cui disciplinata violenza lascia davvero ammutoliti. Ma, tra le più note degli ultimi anni, c’è altrettanto sicuramente “Black Mirror”, e il suo rapportarsi a ogni puntata con una nuova tecnologia del futuro, con la ricaduta che questa ha sui sentimenti dell’uomo, con i suoi effetti collaterali e stranianti.

E è da questa che prende spunto la rassegna – che parte questo mercoledì 22 all’Asilo (vico Giuseppe Maffei 4; tutte le proiezioni sono alle 20.30; per informazioni, il sito e la pagina Fb). Ma parte da lì per “superarla” guardando al passato, per spiegare come anche qualche decennio fa qualcuno immaginava il futuro esasperando il male del presente. Muove, insomma, da queste basi: “A cosa serve raccontare il futuro? Cosa spinge un autore a immaginare cosa accadrà nel nostro avvenire prossimo? Forse, semplicemente, il futuro serve a raccontare meglio il presente nelle sue assurdità e incoerenze, talvolta estremizzandolo e distorcendolo”.

E allora. Sono tre le pellicole scelte per ripercorrere alcuni passi di questo viaggio, tre film di nazionalità e decenni differenti.

Si apre appunto questo mercoledì, con “Le prix du danger” di Yves Boisset, che nel 1983 ipotizza qualcosa dalla quale gli odierni reality show sono forse poco distanti: un programma televisivo manda in onda, in diretta, una vera lotta per la sopravvivenza. Il concorrente, per riuscire a aggiudicarsi il premio di un milione di dollari, deve sfuggire a cinque killer incaricati di ucciderlo. Sino a quando Boisset e il suo protagonista François Jacquemardnonprendono in mano la narrazione, nessuno ha mai vinto. Cosa aspetti – più e meno consciamente – di vedere il pubblico, è tema interessante.

Uno scenario per certi aspetti simile aveva già sollecitato Elio Petri, che nel 1965 aveva diretto “La decima vittima” (sullo schermo il 30 maggio): mescolando più generi, si assesta però comunque in un mondo fantascientifico in cui – per contenere violenza e aggressività, in mancanza di guerre – si dà vita a un gioco di società mondiale. Si chiama “Grande caccia” e i suoi concorrenti hanno facoltà di uccidere i rivali; le coppie vengono formate da un computer, e quella composta da Marcello Poletti e Caroline Meredith (impersonati da Marcello Mastroianni e Ursula Andress) si presenta forse squilibrata, ma produrrà un imprevisto epilogo.

Si chiude il 6 giugno, con “Network” (1976; in Italia, “Quinto potere”) di Sidney Lumet. La nota trama vede di nuovo la televisione – con il suo spasmodico inseguire l’audience – violare l’umanità e farsi addirittura assassina. Il film – che prende spunto da una vicenda reale – è stato inserito nel National Film Registry della Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti, e tra migliori cento film statunitensi di tutti i tempi. Inoltre, Peter Finch fu il primo a vincere l’Oscar postumo come migliore attore protagonista. 
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