Ernesto Iaccarino, chiacchiere dal sofà: «Pronti per una nuova normalità»

Ernesto Iaccarino: chiacchiere dal sofà e progetti in «Fase 2» #Versoil4Maggio
Ernesto Iaccarino: chiacchiere dal sofà e progetti in «Fase 2»​​ #Versoil4Maggio
di Salvio Parisi
Venerdì 1 Maggio 2020, 16:20
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Ripartenza diluita e Fase 2 distanziata per settori, aziende e tipologie professionali o esercizi commerciali: 4 e 18 Maggio le prime fino al 1° Giugno per ristoranti, bar, pizzerie e pub, che potranno riaccogliere la clientela nei locali sebbene in misura contingentata.
 
Riflessioni e proiezioni organizzative ed emotive con un eminente rappresentante della categoria: incontro al telefono dal sofà con Ernesto Iaccarino, chef bistellato dello storico Don Alfonso 1890 a Sant’Agata sui due Golfi, ovvero il miglior ristorante d’Italia e il terzo al mondo (secondo La Liste, selezione dei migliori ristoranti del pianeta) con diverse “consulenze” in giro per il globo tra Toronto, Nuova Zelanda, Macao e Saint Louis.
  

 

Allora Ernesto,
Due mesi di stand by che tutti gli Italiani stanno vivendo con tensione ma rispetto e una certa autodisciplina,
Quarantena casalinga, decelerata e riflessiva ma soprattutto “familiare”: come sta trascorrendo la vostra?

«La premessa è che l’inverno corrisponde alla chiusura del Don Alfonso di Sant’Agata fino alla primavera, periodo durante il quale a me spettano prima la ricerca e le innovazioni di cucina o pietanze e poi una lunga trasferta per portarle verso le altre “filiali” nel mondo. Questo lockdown ha sospeso inaspettatamente la mia partenza e allora… ho tratto ogni giovamento dall’impedimento!
Con mia moglie e il nostro Bruno di tre anni viviamo in una palazzina condivisa per piani coi miei genitori (Livia e don Alfonso Iaccarino - ndr -), per cui la mia quarantena è stata ed è quanto mai “familiare”. Ho mio malgrado interrotto i ritmi serrati dei fornelli e ho ritrovato un tempo felice in casa coi miei cari: a pranzo sempre insieme, chiacchiere e racconti con mio padre e mia madre, ore per condividere idee e sorrisi con mia moglie e giochi col mio piccolo, quando alla sera io e lui balliamo Sinatra e My way…
Ho letto “La città della gioia” di Dominique Lapierre, un medico francese che racconta la resilienza dei protagonisti in una baraccopoli di Calcutta, i quali nonostante indigenza, malattie e vessazioni riescono a trovare la ragione della gioia di vivere: questa mi è apparsa una metafora catartica della vicenda che il mondo sta vivendo in questo momento.
Ho conosciuto e coltivato l’ozio: sì, quell’otium che rimanda alla celebrazione del tempo lento e della riflessione, di recupero e contemplazione, proprio come lo intendevano i greci antichi…»
 
Occorre adeguarsi a un susseguirsi cadenzato di “riaperture”: l’ingrosso, la mobilità, le imprese, gli artigiani, i negozianti e i liberi professionisti. Tutte spalmate in un mese e mezzo (e più) di date già preannunciate.
Come ci si prepara a una “nuova normalità”?

«Screening e test sierologico rappresenterebbero a mio avviso una valida prevenzione: ne  occorrerebbe una regolamentazione legislativa e sufficienti norme di sicurezza.
Come gli altri, il settore dell’alta ristorazione è in sofferenza: ma per il 1° giugno siamo pronti a rimboccarci le maniche e adeguarci a tutte le procedure e i protocolli decretuali.
Ho 50 collaboratori e più della metà in cucina: dovrò purtroppo ridurli alla metà e non immagino possibile che 15 cuochi a lavoro insieme riescano a stare distanti e a non toccarsi mai! Entrare in un ristorante gourmet è voler vivere un’esperienza per occhi, olfatto e palato, ma trovarsi di fronte personale bardato con guanti, mascherina e cuffia non è esattamente confortevole.
Per tutto questo ritengo che occorra una sicurezza a monte, una soluzione preventiva che consenta la tutela e la serenità psicologica per il personale e che aiuti i rapporti con la clientela».
 
Riconvertire spazi e strutture in un’attività commerciale come la vostra, adeguare servizi e rimodulare gli impianti, l'offerta e l’accoglienza nella ristorazione.
Cosa vuol dire aggiornare l’assetto professionale?

«Beh in realtà la nostra azienda segue già da anni tutto l’insieme di procedure mirate a garantire la sicurezza dei servizi, la salubrità degli alimenti, le discipline sanitarie per il personale e di sanificazione per gli ambienti: pertanto basteranno pochi e precisi approvvigionamenti per adeguarci alle nuove normative nella Fase 2».
 
Il turismo e l’enogastronomia d’eccellenza sono senza dubbio il comparto di maggior traino nell’economia del Sud e della Campania: il lockdown prolungato rischia di mettere seriamente in crisi la stagione che sta per cominciare.
La sensazione da trasferire necessariamente ai futuri clienti è #comfort.

«Se devo individuare uno dei grandi pregi di tutti noi napoletani è l’afflato di benevolenza, quel calore senza condizioni: l’arte dell’accoglienza è probabilmente nel nostro dna.
Così riconosco ai miei ragazzi quell’impegno e dedizione gentile nel welcome, che in una sola parola sono “umanità”. Anzi a sublimare questo concetto mi viene di citare Dante: Tre cose ci sono rimaste del paradiso: le stelle, i fiori e i bambini».
 
A un mese dalla riapertura del 1° Giugno si riorganizzano logistica e menù.
Sanificazioni, diagnosi sanitaria del personale, distanze e separè, prenotazioni e turnazione.
Non si rischia di scoraggiare una certa clientela che nei ristoranti come il vostro viene a vivere esperienze di ospitalità, gusto ed eleganza?

«Ricevere l’affetto di tanti clienti e amici che ci chiamano, ci scrivono e non vedono l’ora di tornare a trovarci è una gratificazione enorme: mi conquista e, non importano guanti e mascherine, mi incoraggia a ritornare a lavoro con entusiasmo e ottimismo».
 
Don Alfonso sta pensando o sperimentando nuove pietanze per un menù di restart?
«Certo, questo è un tempo che dedichiamo alle idee, ai nuovi contenuti, alla ricerca e i test con metodi, prodotti e processi, provando cotture anche antiche e combinazioni contemporanee con temperature basse: naturalmente non tutti  finiscono in carta. Al contempo esprimiamo nelle pietanze la massima stagionalità dei prodotti a kilometro (anzi ettometro) zero, raccogliendole nella nostra “Fonte Capri”, l’azienda che abbiamo iniziato su dieci ettari nel 1990, primo esempio italiano di agricoltura biologica annessa alla ristorazione e impiegata in questo momento nella raccolta di prodotti da donare alla protezione civile per le famiglie in difficoltà.
…Un esempio di new entry? Una nuova creme brulée di carbonara da servire come “stuzzichino” (quindi senza pasta) con una cover croccante di pepe e parmigiano passati a cannello».
 
Pensi che debba cambiare il comportamento nell’accoglienza e soprattutto nel servizio in generale?
«Il senso di ospitalità di tutti noi nel Mezzogiorno è un moto spontaneo, un gesto dell’anima: incontrare un amico e invitarlo alla nostra tavola è naturale e immediato. Questo è sempre stato il nostro punto di forza, ma resta anche e soprattutto ora un impegno e un orgoglio».

«Siamo vicini tramite la distanza» si legge su news, web e social: sono soluzioni temporanee o sistemi a cui dovremo definitivamente sottostare?
«Auspico che con le temperature estive il virus perda la sua carica, come alcuni esperti ipotizzano, ma torno sulla mia idea del test sierologico sia circoscritto ai nostri piccoli ambienti di lavoro e sia in larga scala sulla popolazione».

In conclusione e per salutarci fai un invito agli Italiani (e non solo) per un’esperienza da voi in Costiera?
«Ma certo: vacanze in Italia, anzitutto! Strutture recettive e professionisti saranno pronti e all’altezza della serenità e sanità da assicurare a visitatori e clienti.
Da noi la Costiera offre un mix perfetto di natura, cibo, clima e storia unico al mondo: d’altronde noi facciamo accoglienza ed eccellenza da più di cent’anni». 

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