Marcello Cardillo da Napoli a New York con il jazz nel sangue

Dai primi colpi di batteria a 5 anni alle borse di studio in Olanda e Stati Uniti, la storia di un prodigio

Marcello Cardillo
Marcello Cardillo
di Ferdinando Gagliotti
Lunedì 17 Aprile 2023, 12:17 - Ultimo agg. 19:59
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Conquistare il mondo attraverso la musica: alzi la mano chi non ha mai avuto questo sogno. In tanti ci si sono infranti e ci si infrangono contro ogni giorno, perchè questo è un mondo tutt’altro che clemente. Ma c’è anche chi, con coraggio, abbraccia il proprio talento e si lancia in sfide anche apparentemente impossibili pur di farne la propria quotidianità.

Come Marcello Cardillo: napoletano, a 26 anni ha già vissuto esperienze incredibili con la musica. Uno stile in particolare: il jazz, tanto inusuale quanto affascinante. Marcello inizia a suonare la batteria all’età di cinque anni, seguendo le orme di papà, batterista per hobby; a 12 anni inizia a lavorare con il suo primo maestro, Maurizio Saggiomo, al quale afferma di essere enormemente riconoscente: «Sono molto fortunato ad avere genitori che mi hanno sempre supportato nella mia carriera musicale - racconta al Mattino -, e ho collezionato già da giovanissimo, riconoscimenti internazionali come: il premio “All Stars 2010” della Berklee School di Boston a 13 anni e una borsa di studio per il Drummers Collective di New York l’anno dopo».

Ecco, a proposito di Grande Mela: è qui che oggi Marcello svolge la propria attività musicale, dove oggi registra, insegna e performa. Ma procediamo con ordine: «A 14 anni ho iniziato a collaborare con professionisti affermati della scena musicale napoletana. In particolare mi ricordo le diverse collaborazioni con il pianista Bruno Persico, il chitarrista Antonio Onorato, il sassofonista Stefano Giuliano e con il trio The Big Jazz Theory composto da Mario Montella al piano e Saul di Palo al basso, poi sostituito da Massimo Mercogliano, con il quale abbiamo suonato in numerosi festival e teatri. A 18 anni mi sono trasferito in Olanda, per studiare al Conservatorio di Amsterdam e lì ho avuto la possibilità di suonare con alcuni dei musicisti più importanti del mondo come Vince Mendoza, John Clayton, Wycliffe Gordon, Bob Mintzer, Riccardo del Fra, Alex Sipiagin, Ben van Gelder, Jesse van Ruller e molti altri». 

Successivamente, trasferendosi appunto a New York - dove vive da ormai quasi tre anni - per il suo secondo master alla prestigiosa Manhattan School of Music, ha espanso ulteriormente le sue esperienze professionali suonando con musicisti del calibro di Christian McBride, Stacy Dillard, Logan Richardson, Fabrizio Bosso e altri. A 26 anni, Marcello ha già portato le sue melodie a spasso per mezzo mondo: Stati Uniti, Brasile, Europa: «Uno degli aspetti che amo di più del mio lavoro è viaggiare. In ogni luogo ci sono usi e costumi diversi e culture affascinanti. In Brasile, ad esempio, ho suonato a Rio da Janeiro al Teatro Solar de Botafogo e a Belo Horizonte al Buena Vista Jazz Festival, e da amante della musica brasiliana, sono rimasto affascinato oltre che dal luogo, il cibo, i colori e il paesaggio in sé, da come la tradizione musicale del posto sia tutt’oggi ancora così viva nella quotidianità delle persone.

Negli Stati Uniti c’è una cultura completamente diversa e allo stesso modo affascinante. Qui, la musica che si respira, a prescindere dal genere, deriva principalmente dalla tradizione afroamericana, ed è da questa tradizione che è nata la musica che chiamiamo Jazz. Essendo un amante di questa musica ho deciso di volerla vivere da vicino, ed ho avuto la fortuna di studiare con alcune leggende come Louis Hayes, Buster Williams, Reggie Workman, Charles Tolliver, Kenny Washington, Kendrick Scott, John Riley, Miguel Zenon e molti altri.

L’Europa ovviamente è composta da più nazioni ed ognuna ha il suo retaggio culturale. L’Olanda, dove ho vissuto per quattro anni e mezzo, non solo mi ha dato la possibilità di studiare in una struttura ben organizzata, ma anche di entrar a far parte di una scena musicale internazionale e di stringere rapporti professionali che durano tutt’oggi. Mentre l’Italia è ovviamente il mio Paese, è il luogo dove sono nato e cresciuto e sento un forte legame affettivo nei suoi confronti e in particolare nei confronti della mia città, Napoli».

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Il 7 Aprile su Bandcamp e il 14 Aprile su tutte le piattaforme streaming è stato pubblicato il suo nuovo lavoro discografico, “Retrospective”, in qualità di co-leader dell’omonima band Retrospective Quintet. Oltre a lui alla batteria, la band è composta da: Nicola Caminiti al sassofono, Juan Diego Villalobos al vibrafono, Gabriel Chakarji al pianoforte e Hamish Smith al contrabasso, che sono alcuni dei giovani musicisti più forti della scena newyorkese, provenienti da diversi angoli del globo: Italia, Venezuela e Nuova Zelanda. «Questo ensemble è nato nel 2020, nel bel mezzo della pandemia, quando riunendoci regolarmente come studenti della Manhattan School of Music, sotto la guida dell'artista della Blue Note records Kendrick Scott, abbiamo avuto modo di affinare un suono, una chimica e un repertorio che ha attirato l'attenzione di molti nella scena newyorkese e internazionale. Il disco, registrato a giugno 2021, contiene 8 composizioni originali di ciascuno dei membri della band, tra le quali il mio pezzo “Falling Drop”. Il risultato è un mix di culture, colori e suoni che mostra all'ascoltatore le storie di ciascun musicista».

Il batterista giramondo non ha dimenticato le sue origini: a Napoli da sempre si respira musica, tra cui jazz, ma un ritorno in patria non è al momento tra i suoi piani: «Sarebbe un sogno riuscire a fare il mio mestiere nella mia città, ma non credo che riuscirei a mantenere il mio stile di vita attuale vivendo a Napoli. Non ci sono le opportunità che ci sono qui a New York per suonare jazz di alto livello ogni giorno e vivere di musica nel modo in cui vorrei io. Il mio pensiero va ai musicisti e agli organizzatori di eventi che ce la mettono tutta per continuare a diffondere musica di qualità ma che spesso purtroppo si scontrano con una realtà poco recettiva. Io sono andato all’estero a 18 anni, e non vivo più in Italia da 8 anni, anche se ci torno periodicamente per fare tour e concerti, quindi non mi sento di poter parlare con piena cognizione di causa sullo stato della scena jazzistica italiana e napoletana, ma so che c’è molto da poter migliorare e sono sicuro che molti miei colleghi avrebbero tanto da dire a riguardo».

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