Al Campania Teatro Festival la mostra di Iammarrone e Fiorillo celebra la donna

Una delle opere di SYNAESTHET X
Una delle opere di SYNAESTHET X
di Giovanni Chianelli
Venerdì 11 Giugno 2021, 12:11
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Spesso l’arte nasce dall’incontro. C’è Paolo, che da tempo trasforma figurine femminili (bambole, pupazzi, soprattutto Barbie) in immagini altre, lavorandole, colorandole, svilendone i tratti. E poi c’è Vincenzo, che si è laureato con una tesi sulla sinestesia e sono anni che fa ricerca su come trasformare il suono in immagine. Si conoscono da tempo, spesso lavorano come scenografi a produzioni teatrali. “E se provassimo a unire i nostri processi creativi?” si dicono. Nasce così, dalla volontà di due amici di lavorare a un progetto comune, pur partendo dagli antipodi, la mostra "SYNAESTHET X" di Paolo Iammarrone e Vincenzo Fiorillo, una delle proposte artistiche del Campania Teatro Festival, nella sala “Raffaello Causa” del museo di Capodimonte dal 13 giugno all’11 luglio.
“SYNAESTHET” è intuibile: il lavoro che Fiorillo compie suonando, provocando nei granelli di sabbia e nelle gocce d’acqua figurazioni e frequenze visibili. “La X”, spiega Iammarrone, “è il nome che ho dato alla mia parte. Un modo per non definirlo e, insieme, omaggiare il cromosoma della donna”.
È infatti plasticamente tutta dedicata alle donne la prima sezione del percorso: tre stanze per tre colori e tre profumi prevalenti, al suono di un “Miserere”.
Nella prima, la zona fluo, una trentina di bamboline sono ridotte a sagome vaghe, dai contorni sfumati, che a volte sembrano uscire da un ballo rinascimentale e altre da un bosco di ninfe. I colori, fluo appunto, e il profumo commerciale che si avverte all’ingresso, rimandano a un frivolo deformato, a una sfilata fantasmagorica.
Sarà invece l’aroma della terra a seguire i visitatori nella seconda stanza, denominata gold: le figure femminili vengono violate, si smembrano in mani mozzate, presagio di violenza e morte, ma anche alla libertà e alla bellezza dei corpi femminili. Fino alla strana creatura che campeggia sulla parete frontale: da lontano ricorda una corteccia, da vicino si capisce che è l’ennesima donna colpita a morte, in fin di vita, e anche nei colori è un tramite tra i toni mondani della prima stanza e quelli mortiferi dell’ultima.
È la sala black: 1000 Barbie sono state attaccate su un tavolo di legno di 3 metri x 3, dipinte di nero. Urlano, le bambole, la loro frustrazione e la loro condanna, con effetti da museo dell’Olocausto. Qui l’odore è di fiori, che se i primi spettatori troveranno freschi, verso la fine della mostra saranno inevitabilmente appassiti.
Si passa, come in una immaginifica vagina, nella stanza curata da Fiorillo: insieme al musicista Ivo Parlati ha lavorato alle sensazioni che gli hanno creato le figure di Iammarrone, trasformandole in immagini. Hanno composto un video e il brano “Start”, che unisce le varie tecniche sinestetiche, e il pubblico potrà ammirarli a conclusione del percorso, grazie a una videocamera che inquadra una piastra cosparsa di sale, un tubo d'acqua e un altro contenitore con del liquido, dove si creano le forme causate dalla vibrazione sonora.
“Non intendiamo offrire tutte le chiavi di decifrazione a chi verrà a trovarci. È importante che una parte della fruizione sia libera” dicono. Intanto il percorso – scioccante, entusiasmante, interessante nel dialogo tra le varie parti – è posto proprio alla fine dell’itinerario del festival: lo completa una parte “museale” in cui gli artisti hanno collocato le macchine e gli attrezzi da lavoro utilizzati per comporlo. “Speriamo di essere riusciti a rendere la nostra idea della donna: quel mix di bellezza, grazia e leggerezza, che sa mescolarsi alla forza e la pericolosità quando necessario”.
 

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