E allora l’attore diviene il pastore che insegue la Luna e della Luna si trova a ragionare, e diviene Leopardi stesso, poeta.
Così che l'attore che entra sulla scena per caso, come al mondo si viene per caso, si accorge di non poter più uscire. Si accorge che tutto è scena. Così le sue parole, il suo manoscritto, s'identifica con i fogli che egli trova già sulla scena: è egli entrato in scena per portare, o per prendere? Sì è egli voltato e tutto è sparito? O nulla è stato mai? Così le parole di Rilke, di Pavese, di Savinio e le altre, non hanno più autore. Il poeta non può che lasciarsi strappar via da questo fiume di parole, il fiume Ebbro in cui fu gettata la testa d'Orfeo. Non può che lasciarsi fare a pezzi dalle Baccanti, perché si compia il volere di Dioniso. Piombare giù nel fiume: questo fanno i poeti. Roberto Azzurro, alla sua seconda collaborazione con Cristian Izzo, insegue un teatro, negli ultimi anni, scevro da qualsiasi effetto speciale, in cui tutto gira intorno all’attore e al testo, sempre contraddistinto da una precisa e personale cifra stilistica. Sempre pronto a contraddirsi, come ogni vero artista, inteso a portare cambiamento fra i luoghi comuni che vanno inevitabilmente sedimentandosi in ogni settore, Roberto Azzurro costituisce un istrionico mondo a sé, nel panorama teatrale.