Autismo, come abbattere le barriere: «Non bisogna più rifugiarsi nell'assistenzialismo»

Parla l'attivista e divulgatrice Marianna Monterosso

Autismo
Autismo
di Emanuela Di Pinto
Giovedì 25 Maggio 2023, 18:27
4 Minuti di Lettura

Quando si parla di neurodivergenze, molto spesso c'è la tendenza a non ascoltare chi direttamente fa parte di questa comunità di persone che hanno un funzionamento della propria mente o delle proprie capacità di apprendimento differente. Quando si parla di autismo ci si limita ad affrontare il disturbo guardando alle nuove generazioni e a come la scuola e le istituzioni dovrebbero fare di più per rendere la società accessibile e fruibile a tutti. Messe in un angolo, invece, sono le persone adulte che ricevono la diagnosi in età avanzata e si trovano “costrette” ad affrontare dei cambiamenti repentini e difficili da gestire. Se da un lato riuscire a capire da dove provengono determinate problematiche diventa una liberazione, dall'altro il processo che porta a poter vivere una vita serena e “normale” diventa incredibilmente più complicato se nessuna istituzione o struttura di assistenza sembra essere in alcun modo disposta ad aiutare.

Per capire meglio cosa le persone che ottengono una diagnosi di autismo in età matura si ritrovano ad affrontare, abbiamo parlato con Marianna Monterosso che, sui propri profili social giornaliermente, cerca di sensibilizzare sul tema e di raccontare la propria esperienza di persona che ha “scoperto se stessa” solo a 40 anni. «L'autismo è uno dei tanti modi in cui la mente umana funziona» spiega. «In questo macro insieme neurodiverso,cioè di sistemi neurobiologici tutti differenti tra di loro, c'è comunque una maggioranza di persone che ha un funzionamento tipico. L'autismo è una neurodivergenza.

Le menti autistiche elaborano gli stimoli sensoriali e le informazioni in maniera differente» ha chiarito dichiando come riuscire a capire questo elemento riesca spianare la strada ad una comprensione più profonda del fenomeno. 

Le diagnosi precoci, sotto questo punto di vista, possono essere fondamentali per comprendere come affrontare un percorso capace di facilitare l'apprendimento e le abilità sociali delle persone autistiche. «Purtroppo nonostante la ricerca sia andata avanti sulle neurodivergenze, molti diagnosti ancora non sono particolarmente aggiornati. Per cui, molto spesso, si va a cercare il deficit. L'autismo non è una malattia e le persone autistiche non sono tutte uguali» chiarisce Marianna. La sua storia di donna che ha ottenuto una effettivo riconoscimento della propria condizione in età avanzata sicuramente può diventare un esempio di riferimento per coloro che si sono trovati (o si trovano) nella stessa condizione. «Io non ho avuto la diagnosi precoce, sono stata diagnosticata a 40 anni ed è stata una scoperta, una liberazione per me» racconta Marianna, svelando la sua esperienza e come sia stato un modo per levare tutte le etichette negative che nel corso degli anni gli erano state affibbiate, soprattutto dopo essere stata protagonista di una crisi. «Si parla di meltdown, crisi esplosive causate da svraccarico sensoriale» spiega. 

Video

Ruolo fondamentale, in questo contesto, dovrebbero averlo le istituzioni e la loro possibilità di scendere in prima linea per aiutare queste persone ad avere una vita il più normale possibile. «Faccio divulgazione sull'autismo e lotto per i diritti delle persone adulte autistiche» chiarisce, precisando come il sistema sanitario italiano, basato sull'assistenzialismo, punti ad guardare la gravità e la comprommissione rispetto agli effettivi disagi sociali delle persone autistiche. «I livelli di supporto che sono 1,2 e 3, non si basano sulle effettive difficoltà ma delle compromissioni associate all'autismo(...). Dopo i 18 anni i livelli di assistenza sono negati e anche le linee guida per l'autismo non prevedono il supporto per le persone adulte» racconta Marianna. «Significa che le persone  continueranno sempre non avere accesso ad un percorso universitario adeguato e al mondo del lavoro, perché gli ambienti lavorativi non sono accessibili sia dal punto di vista sensoriale, ma anche dal punto di vista relazionale».

«Quello che secondo me dovrebbe cambiare è il modo in cui vengono calcolati questi livelli e riuscire a dare il giusto supporto.Ciò significa assicurare diritti umani e costituzionali e non continuare, per esempio sulla linea dell' assistenzialismo» spiega. «Significa negare il diritto alla libertà e alla partecipazione che sono diritti costituzionali. Sono presenti anche nella convenzione ONU nei diritti delle persone con disabilità. E questo deve assolutamentecambiare nel nostro sistema» conclude.

© RIPRODUZIONE RISERVATA