La sfida dei detenuti in affido: «Apriamo un bed and breakfast»

La sfida dei detenuti in affido: «Apriamo un bed and breakfast»
di Giuliana Covella
Lunedì 10 Luglio 2017, 20:02
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«Volete una tazzina di caffè? A Napoli il caffè non si rifiuta mai». Francesco accoglie col sorriso chiunque arrivi da fuori su una delle terrazze del Centro diocesano di Pastorale carceraria in via Pietro Trinchera 7. Un antico palazzo nel cuore del centro storico, a pochi passi da largo Donnaregina. Nessuno immaginerebbe mai che, dietro quel sorriso Francesco nasconde una storia dalla quale sta provando a riscattarsi. Come? Costruendo un B&B che lui e i suoi compagni apriranno e gestiranno tra pochi giorni proprio nella sede che li ospita a pochi metri dal Duomo. Sì, perché insieme ad altri 32 Francesco è uno dei detenuti in affido che la struttura diretta da don Franco Esposito ha accolto per consentire loro una misura alternativa al carcere. Un mondo a sé, quello che pulsa e si riscatta ogni giorno nell’antico edificio di via Trinchera. Dove insieme ai 33 carcerati passano le loro giornate altre 10 persone sottoposte agli arresti domiciliari. «Sono quelli che non hanno né famiglia né casa», spiega Valentina Ilardi, psicologa dell’associazione Liberi di volare onlus che, con i suoi 60 volontari, cerca di donare un futuro migliore a chi ha commesso reati. Uno dei primi a raccontare la sua storia è Marco Migliaccio, 34 anni, di Mugnano. Prima di andare a lavoro nella pizzeria “Dal Presidente" ai Tribunali, Marco ripercorre la sua triste vicenda: «ho vissuto a Qualiano, dove ero legato al clan De Rosa, per conto del quale facevo l’estorsore. Poi mi trasferii nelle Marche, dove lavoravo come impermeabilizzatore di tetti. Fino a quando non sono stato arrestato e in prigione sono caduto in depressione. Uscito dal carcere, a Bellizzi Irpino, dove ho studiato da geometra, sono tornato a casa e mi sono subito messo a cercare lavoro. Così sul web ho trovato questo posto e ho incontrato don Franco che, dandomi un’opportunità, mi ha salvato la vita».

Da due mesi Marco lavora come cameriere e, mentre dalle 9 alle 13, tutti i giorni segue i laboratori artigianali del centro insieme ai suoi compagni, coltiva un sogno: «amo cantare e un giorno spero di poter intraprendere questa professione. Per cambiare - dice - devi toccare il fondo». Insieme a Marco sono tanti gli ospiti del Centro che quotidianamente lavorano nei laboratori di cuoio, falegnameria e bijouteria, dove i detenuti infilano perline ad una ad una fino a formare dei bellissimi rosari da rivendere fuori e dentro le chiese. Tra di loro c’è anche chi si è macchiato del reato di pedofilia e tende a nascondersi in mezzo agli altri, «ma - dice don Franco - attenzione. Bisogna imparare a non giudicare e a lasciar fare alla giustizia il proprio corso». Un riscatto a tutti gli effetti, dunque, dove chi ha commesso un reato che sta scontando dai 3 ai 5 anni, vive a stretto contatto con la realtà esterna. «Vengono qui alle 9 - dice Valentina - poi vanno via alle 13, tranne quelli che sono ai domiciliari ovviamente. Imparano un mestiere. A stare insieme agli altri, perché la condivisione e il confronto sono fondamentali. E soprattutto imparano ad usufruire dei loro diritti. Molti, ad esempio, non sanno nemmeno di avere diritto all’esenzione per medicinali e visite mediche». Creativi e pieni di speranza i carcerati ora si preparano a una nuova sfida: l’inaugurazione del B&B realizzato da loro, che tra pochi giorni inizierà ad ospitare turisti da tutto il mondo. «Non sappiamo ancora come chiamarlo - dicono - forse come la onlus che ci ha accolto, “Liberi di volare”». Come Andreas, 48 anni, di Budapest, che è qui da 5 anni per spaccio di droga: «Sono l’unico ad avere il braccialetto elettronico - spiega seduto fuori a un terrazzo - ma presto tornerò libero».
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