«Dalla parte dei bambini», i piccoli rifugiati ucraini ora studiano ai Quartieri Spagnoli

«Dalla parte dei bambini», i piccoli rifugiati ucraini ora studiano ai Quartieri Spagnoli
di Giovanni Chianelli
Martedì 17 Maggio 2022, 14:15 - Ultimo agg. 18 Maggio, 12:21
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Kira ed Elizabeta sono due cugine di 10 anni, di Kiev; da due mesi sono arrivate in Italia con la madre di Kira, quella di Elizabeta è voluta rimanere a difendere il suo Paese. Andrianna è nata nel 2008 a Ivano-Frankivs'k, nell'Ovest, e ha già una nipotina di 4 anni, Sofiia, figlia di sua sorella maggiore che di colpo ha dovuto abbandonare gli studi di medicina allo scoppio della guerra. E poi c’è Daniu: di anni ne ha 5 e adesso vive da sua nonna, che è da tempo a Napoli e che non aveva mai conosciuto. Sta bene, ma gli manca molto il padre, rimasto a combattere, e poi i suoi amichetti, la sua casa. Per ora una casa lui e le altre l'hanno trovata nel cuore di Napoli: gli spazi di Foqus, la fondazione che da anni è impegnata nel campo dell’integrazione sociale e culturale ai Quartieri spagnoli, e dell’istituto “Dalla parte dei bambini” che la parola accoglienza ce l’ha nello statuto: «Dal 1994, anno della fondazione, la nostra scuola offre ospitalità ai bambini del popolo Sarawi, ai piccoli rifugiati siriani, ma anche a chi vive condizioni di fragilità sociale a Napoli, come pure ai ragazzi con disabilità», spiega Rachele Furfaro, che dell’istituto è fondatrice e direttrice. «Del resto la nostra scelta di campo l’abbiamo fatta già scegliendo quel nome. Siamo dalla parte dei piccoli, e come è scoppiata la guerra non abbiamo avuto dubbi: sarebbero stati con noi».

Sono 18 i piccoli rifugiati che da due mesi hanno trovato ospitalità nei vari plessi della scuola, tra quelli del Vomero, corso Vittorio Emanuele e, appunto, i Quartieri.

All’inizio si era pensato di fargli frequentare tutti insieme una classe speciale, perché restassero uniti e potessero interagire meglio. Poi, temendo che così si sarebbe costituito un ghetto, il consiglio di istituto ha fatto una scelta coraggiosa: si è deciso di distribuirli per le rispettive classi di riferimento, a piccoli gruppi.

La salute dei bambini è buona, un po’ meno la condizione emotiva. Se per i grandi c’è una relativa maturità e per i piccolissimi una minore consapevolezza, il disagio vero lo soffrono quelli di mezzo, tra i 5 e i 9 anni: «Alcuni sono stati catapultati nella nuova realtà senza spiegazioni, ora hanno nostalgia dei parenti rimasti in Ucraina», racconta Federica Esposito, responsabile di “Dalla parte dei bambini”. Diversi hanno una nonna o una zia in Italia da anni, ma per loro sono pressoché sconosciute. E provano mancanza verso i papà, arruolati all’improvviso nel conflitto: «Magari li vedono in videochiamata e non capiscono perché non possono stare in braccio a loro a giocare».

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Poi ci sono le distanze linguistiche. I docenti hanno pensato di ricorrere alle parlate universali del canto e del gioco, momenti di aggregazione su cui la scuola punta molto. Daniu corre sul tetto di Foqus nel momento della ricreazione, sta bene in mezzo agli altri, per ora ha imparato a dire le parole elementari come “grazie”, “va bene” e “ciao”. Coi suoi coetanei italiani, figli di napoletani o di immigrati, gioca ai trenini, la sua passione. E da quando è arrivato si applica molto con le costruzioni: «Spesso lo abbiamo trovato a unire dei legnetti coi colori blu e giallo, stava formando la bandiera dell’Ucraina», racconta Rossana Caiazzo, una delle maestre. Però, dice, crea pure le bandiere della Polonia e della Russia, da pochi giorni anche il tricolore italiano.

L’integrazione procede per piccoli, difficili passi, eppure preziosi. Gli insegnanti ce la mettono tutta per non isolare i nuovi arrivati, servirebbero mediatori e interpreti, in questi giorni i vertici dell’istituto stanno provando a convocare figure del genere: «Potrebbe essere un'idea per dare lavoro ai rifugiati adulti. Comunque i nostri docenti sono molto portati per la mediazione, li abbiamo formati in questo senso, da sempre fanno dialogare alla pari i figli delle famiglie borghesi con quelli di chi vive in sofferenza economica, i cosiddetti nuovi italiani e i disabili: sono abituati alla sensibilità verso la differenza», dice ancora la Furfaro. Il resto lo fanno gli altri bambini, pure loro cresciuti nella parità e nella condivisione di tutto: specie le piccole sono molto accoglienti con i nuovi compagni, gli danno la mano uscendo da scuola, i sorrisi e le corse superano ogni distanza.

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