Viaggio in Togo per la vita | Giorno 6. Arriva l'uomo bianco

Viaggio in Togo per la vita | Giorno 6. Arriva l'uomo bianco
Mercoledì 8 Agosto 2018, 16:47 - Ultimo agg. 9 Agosto, 09:18
7 Minuti di Lettura

Quando per spaventare i vostri figli gli dite: “Fai il bravo che viene l’uomo nero”, sappiate che lo fanno anche in Africa, con l’uomo bianco naturalmente. L’occasione per scoprirlo è il tragitto dall’ospedale, finiti gli interventi in cui si confonde il ruolo di Giornalista con quello di assistente ai chirurghi, alla sartoria. Anche in Africa la giornata “no” si affronta con lo shopping, di vestiti fatti a mano con la stoffa variopinta acquistata per pochi soldi al mercato. Una sarta molto magra e timida mostra un catalogo da cui scegliere il modello, ce ne sono di ogni: la scelta cade su due modelli, uno simil tailleur e l’altro stretto in vita e con una gonnella svasata che la sarta tenta di allungare più di quanto richiesto. Ida opta per un vestito più morbido con un elegante fiocco in vita.
 

 

Venerdì saranno pronti tutti e tre. Le botteghe di sartoria sono come tutte le altre, baracche con al centro una o due macchine per cucire, all’interno uno specchio per la prova e sul retro l’accesso alle case, parte di villaggi molto spesso delimitati da mura di pietra. Sul fronte invece, ci sono una marea di bambini: qui le donne o sono incinte o hanno bimbi piccolissimi e il più delle volte bellissimi. Su tutte le botteghe, capeggia una grande struttura in azzurro, visibilmente incompiuta: Chiara spiega che sarebbe dovuto essere un albergo ma il proprietario è morto prima della fine dei lavori che così sono rimasti a metà. Un albergo. Ad Afagnan. Il cammino tra le strade sabbiose di Afagnan è l’occasione per sistemare un paio di scarpe da ginnastica che si sono scollate. Cucirle e farle come nuove in meno di 10’ costa 500 FRA. 80 centesimi di euro. Non costa. Lungo la strada sorprende un cartello che indica una biblioteca. Ad Afagnan. E le Poste. E altre piccole grandiosità per questa terra di nessuno. Per strada si vende di tutto, anche le bare e ci sono tanti parrucchieri, anche se la maggior parte delle donne indossa parrucche, sartorie e meccanici. E sorprende anche lo straordinario equilibrio con cui le donne portano gli enormi cesti sulla testa. Sono enormi, sproporzionati su corpi spesso esili che sulla schiena portano anche un bambino. Rientrati in ospedale si fa in tempo ad avvisare i frati della necessità di andare a Lomè l’indomani per il rinnovo dei passaporti. Il francese della richiesta è talmente mal parlato che è il frate a cercare di parlare italiano, per farsi capire. La giornata africana prosegue un po’ più pesante del solito: sarà l’aria, umida, saranno i pensieri così lontano da casa, sarà la stanchezza, effetto collaterale del Malarone, il farmaco anti malaria: va preso tutti i giorni, perché non esiste un unico vaccino contro la malaria.

“Si risolverebbero i problemi dell’Africa se esistesse”, spiega Fausto. Il pomeriggio porta una novità: un nuovo italiano che si aggiunge alla missione. Si chiama Roberto, napoletano, ha 28 anni ed è al quarto anno di specializzazione in chirurgia maxillofacciale. Il suo è stato un vero e proprio pellegrinaggio fino a qui, tra volo cancellati e notti a Casablanca. Ma la voglia di venire per aiutare è decisamente più forte di tutto. Ora la struttura ne ospita 6 di italiani, 5 medici e una giornalista. Il numero ideale per passare la serata tra carte francesi, intrecci di dialetti, risate e qualche bicchiere di rum e wisky. L’indomani c’è il viaggio (più di due ore) alla volta di Lomè. L’autista arriva alle 8.20, in ritardo: è silenzioso, non parla italiano e le due incaricate prescelte (Ida e la sottoscritta) tra i sei componenti alla richiesta del visto, non parlano francese. È un viaggio silenzioso insomma, salvo poi scoprire la voce urlante dell’autista inveire contro una donna in scooter e una serie di persone dall’altro lato del telefono. Guida male, e detto da una donna... Le marce invocano per pietà di essere inserite visto che con la prima riesce a fare anche 7/8 km, con la seconda anche una 20ina, dalla terza in poi è più clemente e la guida distratta per poco non provoca un paio di incidenti e un investimento, per non parlare della radio a tutto volume su stazioni solo talk. Insomma, sopravvivere sarà una grande cosa. Per la prima ora e mezza di viaggio, lo scenario cambia poco: strade dissestate con più o meno botteghe, uomini e donne al fresco o a percorrere la strada e tanti bambini. Il sonno vince. Ci si risveglia a Lomè, scoprendo un’Africa “civilizzata”, tra strade asfaltate, centri abitati, palazzi di vetro, uffici, banche, concessionarie d’auto e più di un campus universitario, enormi e un lungo viale alberato, che cela uffici e strutture ben tenute, compreso qualche ministero. C’è una scuola privata: la scritta esterna dice “Per i futuri leader del Mondo”.

E ci sono anche tante strutture iniziate a costruire e poi lasciate a metà. Eppure lungo le strade ci sono sempre le solite botteghe fatte di mattoncini o lamiere e si ha sempre la sensazione che basti girare l’angolo per passare dalle immense strade che paventano una moderata ricchezza, agli scenari della più povera Africa, anche a Lomè. Dopo due ore di viaggio, armate di coraggio, ci si avvia verso l’ufficio visti; bisognerà fare la richiesta per tre rinnovi senza parlare una sola parola di francese, ma anzi tendendo, non si sa perché, a parlare spagnolo: in Africa, insomma, le sfide non finiscono mai. La procedura è: pagare circa tre euro per tre moduli, riempire il modulo con informazioni di ogni sorta, poi consegnarlo, corredato di due foto, farsi dare un modulo più piccolo, consegnarlo compilato, tornare il giorno dopo. Altre 4 ore di macchina, se tutto va bene. Incredibile. L’ufficio per così dire, è all’aperto e si intravede qualche bianco, solo qualcuno però. L’impresa riesce, nonostante i dubbi di Ida. Ma il capirsi in qualche modo è fatto per gli umani e vale anche in Africa. Il ritorno è più impervio e non solo perché ci si scansa per un pelo da un frontale con un camion o perché per poco non si investe una baracca; è più impervio dell’andata perché andare a Lomè implica sempre per gli autisti fare almeno altre 3/4 commissioni: nel caso di specie, cambiare due dollari in tre banche diverse, lasciando l’auto sotto il sole e senza aria condizionata, nonostante i quasi 40 gradi di oggi, salvo poi cambiarli per strada di contrabbando e fermarsi in una zona che le favelas in confronto sono la Svizzera. L’autista scende e raccomanda di chiudere le sicure, mentre si allontana chissà dove con la promessa di tornare di lì ai prossimi 6 minuti. I sei minuti più lunghi della vita. Finalmente torna assicurando che non ci saranno altre tappe, ringraziando il signore. In compenso, alcuno scenari sono davvero belli, specie quando si passa vicino all’Oceano con la ripromessa di tornarci prima di andar via.

La promessa di non fare altre soste, invece, non viene mantenuta e ci se ferma ancora.
Il tempo in Africa non è una costante ma si dilata continuamente quasi come se alla gente non importasse il suo trascorrere, quasi come se fosse un’entità a cui non dar peso. E così, tra un saluto al volo, qualche acquisto e chissà cos’altro, una commissione di circa 4 ore, ne fa perdere almeno sei. Ma il tempo con conta. Scorre qui in Africa senza essere misurato e chissà che, in un assurdo senso, non sia poi che valga più così. Ah, l’ultima fermata prima dell’ospedale era per comprare banane e offrircele. E gli si perdona quasi ogni cosa, complice anche il Bob Marley messo su grazie ad una chiavetta USB. 

© RIPRODUZIONE RISERVATA