Viaggio in Togo per la vita | Giorno 9 «Grazie mille»

Viaggio in Togo per la vita | Giorno 9 «Grazie mille»
di Nunzia Marciano
Sabato 11 Agosto 2018, 16:17 - Ultimo agg. 12 Agosto, 10:29
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“Grazie per quello che stai facendo per salvare delle vite”: il messaggio su whatsapp, scritto in inglese, arriva da Frate Abraham, uno dei frati responsabili dell’Ospedale Saint Jean De Deiu, di Afagnan, in Togo, nell’Africa subsahariana. Le vite a cui si riferisce sono quelle a cui sono state pagate le cure, in euro. Il grazie va invece a quanti hanno voluto donare dall’Italia, affidando i propri soldi con la sicurezza assoluta che arrivassero a destinazione e che asservissero al loro scopo: salvare delle vite. Quello di frate Abraham è uno di quei messaggi che in quella parte del Mondo giusta da cui vieni, non ti aspetti di ricevere, a meno che tu non sia un medico, anche se qui il ruolo di giornalista fa oramai il paio con quello di assistente ai chirurghi, tanto da suturare un paziente, tanto da ricevere in dono una cuffietta per la sala operatoria.
 

 


Tanto, insomma. Dopo più di una settimana, l’ospedale non ha quasi più segreti e non ci si perde più tentando di tornare a casa, anzi: si è capaci addirittura di gironzolarci dentro armata di macchina fotografica per immortalare i volti d’Africa. Qui in Togo le persone hanno uno strano rapporto con le foto: c’è chi non vuole essere assolutamente fotografato e chi invece ti cerca per una foto. A molto non interessa neppure rivedersi: gli basta sorridere guardando un obiettivo. Per i bimbi poi, basta un bon-bon (una caramella) per conquistarli, eccetto quello che non hanno mai visto una donna bianca e per di più bionda: loro piangono disperati e basta, e non c’è caramella che tenga. Altri invece ci prendono gusto e si avvicinano. E vale anche per gli adulti. Qualcuno addirittura restituisce il favore scattando foto a sua volta. Sul braccio di una donna c’è una scritta: è quella di cui parlavano Chiara e Agnese l’altra sera... È un bel pomeriggio da passare. Ai bambini della pediatria si regala qualche caramella in più e qualche giocattolo anche, al di là delle foto. Sul retro del reparto per i più piccoli c’è una scuola. “Qui la scuola è importante”, lo aveva detto Herman. Qui far studiare i propri figli è importante, quando si può ovviamente. Qui studiare conta eccome, non come in Italia dove non di rado sono proprio gli incompetenti a dettare legge. Letteralmente. Qui si studia medicina per salvare vite, qui si somministrano vaccini costosi per salvare vite. Qui le malattie esistono eccome, e i vaccini sono l’unico modo per combatterle. Non come in Italia, insomma. Da questa parte del Mondo non si puoi scegliere di essere NoVax, se quei VAX, salvano vite. A chi può permetterselo, val la pena ripeterlo. Le serate ad Afagnan finiscono sempre con una birra, una Flag, consumata al bar di fronte all’ospedale, dal gruppo di missionari italiani. E ogni volta la si offre ad un africano diverso. Stavolta tocca a Emanuel, 31 anni, anestesista e infermiere. Qui l’anestesista non ha bisogno della laurea, basta il diploma. Emanuel è l’unico finora, che ha davvero anestetizzato un paziente evitando che fosse “solo” in una specie di sonno profondo. È bravo insomma. Prende un’aranciata, mentre tutti prendono una birra: “Devo andare alle prove alle 19, non posso bere”. Emanuel è divorziato e ha una figlia. Sembra dirlo con rammarico e non fa cenno ad altre donne, anzi. Le prove di cui parla sono quelle per il coro della chiesa, che si tengono nel centro polivalente dell’ospedale e a cui partecipa Germana. Viene naturale accompagnarlo. Fuori dal bar si scambia qualche parola, sul freddo: “Io non amo il freddo”, dice Emanuel in un inglese un po’ stentato ma che è l’unico modo per comunicare con chi, italiana, non parla una parola di francese manco per sbaglio.

“A Napoli in questo periodo fa molto più caldo di qui, anche se qui l’aria è più pesante e c’è molta umidità”, gli si risponde. In effetti, in Togo la temperatura è sempre più o meno costante sui 26/28 gradi, scendendo però di un bel po’ la sera, quando per uscire va bene una felpetta. La differenza, di giorno, tra le varie stagioni, la fa la pioggia: questa è la stagione secca però. Il centro polivalente è poco distante dalla pediatria: è molto grande e ha anche un palco. Inizialmente ci sono 6/7 persone, poi aumentano, arrivando a 20. Si provano canti. Emanuel dirige. E Ida che canta nel coro della sua chiesa e suona l’organo, ne approfitta timidamente per sentirsi un po’ più a casa, unendosi al gruppo. Alla fine suona per loro, che cantano canti religiosi in italiano. È importante qui la religione, a patto che non cozzi con la tradizione. La serata prosegue con la cena. In Africa il cibo non è esattamente “gustoso”: qui nella struttura che ospita i missionari, il menù quotidiano non offre granché. Si mangia perlopiù riso, pesce essiccato per strada al sole, zuppe piene di cipolle, raramente uova e pasta, qualche volta legumi e spesso lo ignam, una specie di patata fritta. Una specie però. Mentre l’acqua che non è potabile, viene filtrata. Qui la bevevo spesso in bustine, che sembrano quelle della mozzarella. Sembrano chiaramente. Si vendono tante verdure ma qui non le servono e allora ce le si compra da soli. Intanto Chiara, la modenese, dopo le solite mille peripezie è arrivata a Casablanca: è un brutto momento per i voli per delle agitazioni sindacali e il rischio è di farsi il 15agosto in aeroporto. Si fanno gli scongiuri, ovviamente. In Africa i funerali si fanno il venerdì. Notte. E se si ha la sfortuna di essere vicini al luogo del rito, beh, no, non si dorme. Se poi la sfortuna si accanisce e si sta tra il rito funebre e le celebrazioni di qualche setta religiosa, allora si può anche dire addio al sonno. Almeno fino alle 2 del mattino.

Per fortuna non capita sempre, per fortuna.
L’indomani la sveglia è alle 7 ora locale. Ma la destinazione non è l’ospedale ma Lomè. Due ore di viaggio. Quattro andata e ritorno. Circa 10’ per recuperare i passaporti con i visti. Circa 2 ore per le commissioni personali dell’autista con la pessima guida sportiva messo a disposizione dai frati, che si ferma: a consegnare del materiale medico, a prendere appuntamento con un sarto, a fare benzina, a comprare pane e verdure e sparisce per 20’ lasciando l’auto sotto il sole vicino a delle bombole del gas per fare non-si-sa-cosa. Meglio la sala operatoria, ma di gran lunga proprio. La nota positiva è che cambiano gli scenari, si intravede qualche bella abitazione a Lomè, e soprattutto si vede l’oceano. Il sabato ad Afagnan è una mezza festa, in cui si assapora già il gusto della domenica. Mancano pochi giorni al ritorno a casa e la stanchezza fa il paio con un pizzico di amarezza, che ancora non ha espresso la sua ragion d’esserci. Ma lo farà. 

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