«Denunciai le pressioni, ora faccio causa all'Oms»

Francesco Zambon
Francesco Zambon
di Angela Pederiva
Martedì 13 Aprile 2021, 05:07 - Ultimo agg. 17:45
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VITTORIO VENETO - Francesco Zambon è il medico che ha denunciato lo scandalo della censura e delle pressioni all'interno dell'Organizzazione mondiale della sanità. Originario di Vittorio Veneto, e fino allo scorso 31 marzo coordinatore dell'Oms per le Regioni per l'emergenza Covid, il 48enne era il capo dei ricercatori che il 13 maggio 2020 diffusero dalla sede di Venezia il contestato rapporto (An unprecedented challenge - Una sfida senza precedenti) sulla risposta dell'Italia alla prima ondata pandemica. Il ritiro della pubblicazione e il clima di pressioni sono al centro dell'inchiesta, condotta dalla Procura di Bergamo, che vede indagato anche il veronese Ranieri Guerra, già direttore vicario della stessa agenzia dell'Onu, contro cui ora il trevigiano ha intentato a Ginevra una causa che cita mobbing (l'emarginazione sul luogo di lavoro) e whistleblowing (la segnalazione di illeciti all'interno di un organismo).


Perché?
«Questa decisione è la conseguenza delle mie dimissioni.

Siamo solo agli inizi, sarà un lunghissimo procedimento. Ma non posso evitare di chiedere giustizia per l'isolamento che ho subìto e la protezione che non ho ricevuto. Mi assiste l'avvocato Vittore D'Acquarone, senza il quale non so se ce l'avrei fatta a reggere le difficoltà di questi mesi. Ho dovuto ricorrere alla sua assistenza legale quando avevo ricevuto le convocazioni dalla magistratura e l'Oms mi diceva di non andare a testimoniare».


È il teste-chiave dell'accusa a Guerra, che nei messaggini inviati al friulano Silvio Brusaferro, presidente dell'Istituto superiore di sanità, definiva voi ricercatori «somarelli» e «scemi». Che effetto le fa?
«Quando mi sono dimesso, non ero a conoscenza di queste chat. Non che questo cambi la mia scelta, anzi, mi causa meno imbarazzo essere fuori. Però sono dispiaciuto di tutto questo: avrei preferito che niente fosse mai successo, che il rapporto fosse stato pubblicato, che non ci fossero state pressioni di nessun tipo. Invece si è verificata una catena di episodi molto spiacevoli. Non è più assolutamente un caso italiano. Anche se, certo, le pressioni politiche sono un elemento nuovo e inconfutabile».


Allude alle parole di Guerra sulla presunta irritazione del ministro Roberto Speranza per il famoso dossier?
«Sì. Ma ormai siamo ben oltre quel rapporto. Adesso quello che conta davvero, a mio parere,
è come funziona l'Oms e quello che va cambiato. Spero solo che l'Organizzazione non voglia continuare a fare come lo struzzo che mette la testa sotto la sabbia per non vedere le cose... Questa può essere un'opportunità costruttiva: il Covid ha messo a nudo alcune problematiche sul piano della trasparenza, dell'indipendenza, dei controlli interni».


Cosa pensa di Guerra?
«Non avrei niente da dire. Mi dispiace che la vicenda venga presentata, anche mediaticamente, come se fosse una bega tra noi due. Contro di lui non ho niente di personale, malgrado abbia usato toni che trovo eticamente poco edificanti. Ma fare un commento su Guerra sarebbe spostare l'attenzione dal problema, che riguarda l'Oms nel suo complesso, un'istituzione in cui ho lavorato per 13 anni».


Le è costato dimettersi?
«Non avevo altra scelta, quello era diventato per me un ambiente assolutamente invivibile. Sono stato progressivamente isolato, ho ricevuto sempre meno risposte dalla sede-madre di Copenaghen. Sono stato messo ai margini, non ero più gradito a Ginevra. Non è stata una decisione facile, ma ora che l'ho presa, posso dire che non ne sono pentito».


Ha ricevuto solidarietà, al di là dei 4.115 sostenitori iscritti al gruppo social Tutti con Francesco Zambon?
«Dalla gente, tantissima. Così come da molti componenti del Comitato tecnico scientifico regionale, da cui sono uscito solo perché ne facevo parte per conto dell'Oms. Da parte dei colleghi di Venezia, una decina, il supporto c'è stato. Mi sarei aspettato che ci fosse anche da Copenaghen, invece ho sentito solo il gelo».


Cosa farà adesso?
«Sto valutando alcune proposte professionali molto allettanti, deciderò nel giro di qualche mese. Nel frattempo ho finito di scrivere un libro su questa vicenda, che uscirà per Feltrinelli il 13 maggio, nel primo anniversario della pubblicazione del rapporto».


In quelle 102 pagine scrivevate che l'attuazione del piano pandemico da parte dei vari Governi, che si erano succeduti dal 2006 al 2020, era stata per 14 anni «più teorica che pratica, con pochi investimenti o traduzioni delle intenzioni in misure concrete». È questo che le avrebbero fatto pagare, alla fine?
«L'intento era di fare una descrizione utile per gli altri Paesi che, dopo di noi, stavano affrontando il Covid. Erano più i punti di forza che quelli di debolezza, davamo lustro all'Italia e anche alle Regioni, evidenziando buone pratiche come ad esempio in Veneto il modello Vo' e la sanità territoriale. Mi dispiace che tutto questo lavoro sia stato strumentalizzato».
 

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