Aiutare Napoli
per salvare la bellezza

di Vittorio del Tufo
Mercoledì 1 Dicembre 2021, 23:39 - Ultimo agg. 23:40
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Il Mattino nelle ultime settimane ha appoggiato con convinzione la doverosa, sacrosanta battaglia del sindaco Manfredi per ottenere da governo e parlamento un emendamento alla legge finanziaria che aiuti le città soffocate dal debito a mettere in sicurezza i conti pubblici. Perché quel debito moloch pesa come una gigantesca pressa sull’efficienza dei servizi pubblici e di conseguenza sulla qualità della vita dei cittadini sempre più esausti. I partiti della maggioranza, e le stesse opposizioni di centrodestra, si sono impegnati a non lasciar solo il sindaco in questa battaglia dalla quale dipenderà, in buona misura, il futuro della terza città d’Italia, che non può essere abbandonata a un destino di rovina, come una moderna babilonia. Ma riteniamo che accanto a questa campagna - che, ripetiamo, è sacrosanta e dall’esito incerto - ve ne sia un’altra che non può passare in cavalleria, né essere affidata alla sola trincea degli operatori culturali: difendere i luoghi della Bellezza (che è uno dei principali motori economici della città) dal degrado che avanza, e dall’inciviltà che si esprime in molteplici e intollerabili forme.

 

È una battaglia di civiltà e allo stesso tempo di sopravvivenza, che ben al di là dell’orgoglio di campanile chiama in causa responsabilità politiche nazionali. Siamo sicuri che il ministro della Cultura, Dario Franceschini, non sia rimasto indifferente osservando le immagini dei contenitori dell’immondizia rovesciati davanti all’ingresso del Museo di Capodimonte, o dei cartelli «pericolo di crollo» attorno alle transenne che ingabbiano l’obelisco di Cosimo Fanzago, il più antico di Napoli, tra la cappella del Tesoro di San Gennaro e il Pio Monte della Misericordia, in via Tribunali.

Dai luoghi della bellezza tradita arriva un grido di dolore che deve raggiungere tutti: le autorità locali, che da parecchi lustri sono costrette a fare i conti con le casse comunali dissanguate, al ministro Franceschini, il quale, più di altri, sa che i luoghi d’arte e cultura sono un presidio di resistenza civile, soprattutto in una città soffocata dall’economia criminale. Paghiamo oggi un prezzo altissimo all’inconcludenza che ha accompagnato le politiche di risanamento urbano in troppi quartieri di Napoli. Il decoro ha fatto definitivamente la sua scomparsa da zone come Forcella, immersa in una storia antica e nobilissima, dove le associazioni private sono le uniche a combattere contro lo sfascio; o come la stessa via Tribunali, cuore della città turistica, che nell’ultimo tratto (dove si trova il Pio Monte con le Sette Opere di Misericordia di Caravaggio) è una distesa di saracinesche chiuse, locali abbandonati e santini della criminalità organizzata.

La cosiddetta “missione Salva-Napoli”, ammesso che abbia successo, non è destinata solo a mettere in sicurezza i conti del Comune, e garantire il funzionamento dei nostri disastrati servizi, dai trasporti pubblici al welfare; se la bellezza è il nostro petrolio, scongiurare il crac significa evitare che la città perda la sua capacità d’attrazione, la sua proiezione internazionale, e continui a sfiorire sotto gli occhi dei turisti e (soprattutto) dei cittadini.

Insomma non è solo un’operazione contabile, da confinare nel ristretto perimetro dei ministeri economici, ma un’operazione di civiltà che richiede l’impegno di tutti. O continueremo a riempirci la bocca con la retorica della bellezza che tutto perdona, senza renderci conto che la rendita dei nostri tesori d’arte e cultura non può essere eterna.

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