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Alighiero Noschese, la maschera rimossa

di Luciano Giannini
Articolo riservato agli abbonati
Giovedì 24 Novembre 2022, 00:00 - Ultimo agg. : 06:00
3 Minuti di Lettura

«Sono sicuro che non esista l’oblio totale; le tracce, una volta impresse nella memoria, sono incancellabili». Così, Thomas De Quincey. La frase si adatta al caso Alighiero Noschese, l’imitatore che vendette l’anima al diavolo della molteplicità. Incarnando quelle degli altri, dimenticò la propria? La separazione, la depressione, forse un male grave: il 3 dicembre 1979 l’uomo plurale si uccise davanti a una statua della Madonna, nel giardino di Villa Stuart, dov’era ricoverato.

Era nato il 25 novembre 1932. Domani saranno 90 anni. Prima osannato, poi rimosso. Perché? Lucio Mirra, patron decano del teatro Diana, lo conobbe nel 1964, quando ospitò il suo primo ampio successo: «Scanzonatissimo»: «Con noi era cordiale, simpatico, trascinatore. Si andava a cena insieme, da Sica, al Vomero», ristorante cancellato dalla modernità. «Questa me la raccontò lui: nel secondo allestimento, quello con Baudo, la Steni e Pandolfi, si accomodava sulla poltrona esterna di prima fila, perfettamente travestito da Giulio Andreotti. Un sosia, ricordate? Be’, confuso tra il pubblico, aspettava che lo invitassero alla ribalta. Una signora che gli era accanto lo notò: “Onorevole, buonasera, mi scusi l’adire, ma mio figlio è disoccupato. Lei può fare qualcosa? Può aiutarlo?”».

Ecco, questo è il Noschese in rapida ascesa sulla scala mobile della celebrità. Poi c’è l’altro, il lato oscuro. Nel suo museo di San Marco dei Cavoti (Bn), dedicato alla pubblicità, lo scrittore Andrea Jelardi ha una bacheca con alcune memorabilia (camicie, abito della prima comunione, coroncine e rosari, la valigia, un microfono, gli occhiali). E a lui ha dedicato l’unica biografia sul mercato, «Alighiero Noschese, l’uomo dai mille volti» (Kairòs e Fausto Fiorentino editore). Ora spiega: «La sua carriera terminò alla Rai con il varietà “Ma che Sera”. La causa? Un avvenimento imponderabile: il rapimento di Aldo Moro». Per il ritorno in tv, dopo un lungo oblio dettato soprattutto da motivi personali, Noschese aveva preparato, tra l’altro, una “Moro Story”, trasformandosi, col trucco e con l’anima, nello statista pugliese».

Quegli anni divennero di piombo anche per il «Fregoli delle voci», che proprio imitando la Casta aveva conquistato il successo. Erano gli stessi onorevoli a chiedergli di essere messi alla berlina. A quel tempo, non essere in repertorio significava non essere. Punto. Jelardi: «Cominciò un periodo difficile. La satira politica fu messa al bando. Era la primavera 1978. Noschese si tolse la vita nel dicembre 1979. Poco dopo, si seppe che era iscritto alla P2 di Licio Gelli. E qualcuno addirittura suppose: ha prestato la voce per imitare personaggi influenti e persuadere gli indecisi ad aderire a una loggia massonica e segreta».

Calarono le ombre dell’oblio e incisero sul meccanismo della memoria collettiva; complice il suicidio, in un’epoca assai meno laica della nostra. Nessuno lo onorò come avrebbe meritato. Jelardi: «Per giunta, nel ‘79 la tv italiana aveva appena 25 anni. Voglio dire che i suoi divi erano comunque considerati artisti popolari, quasi di secondo piano». Ancora: «Noschese non ebbe eredi alla sua altezza. La figura dell’imitatore morì con lui. È stata riscoperta in anni recenti, ma ormai il grande pubblico lo aveva dimenticato. Lo ha in parte rimosso anche la sua Napoli: «Grazie alla dizione impeccabile, in molti ignorano che nacque in via Palizzi. Un vomerese doc».

San Giorgio, sua terra d’elezione - là volle essere sepolto - gli ha intitolato una strada e un murales - già imbrattato e restaurato - su cui il suo volto appare accanto a quello di Troisi. Perfino Roma ha una via Alighiero Noschese. E Napoli? La Commissione toponomastica del Comune ha approvato la proposta di intitolazione nel gennaio 2020. Gennaro Capodanno, presidente del Comitato Valori collinari: «A quasi due anni dal completamento dell’iter burocratico, non si sa ancora nulla». E dire che Alighiero era orgoglioso della propria origine: «La cicogna mi lasciò cadere in un paese dove regnano sovrani i suoni e le voci. Signori, sotto l’alto patrocinio - non ladrocinio - della Cassa per il Mezzogiorno sono nato a Napoli. E me ne vanto! Scusate!».

© RIPRODUZIONE RISERVATA
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