L’ultimo “regalo” dell’Alitalia a Napoli è, nell’ultimo giorno di vita della compagnia, la cancellazione dell’ultimo volo in programma prima dello stop: il Napoli-Linate delle 19. Così alle 8.55 di ieri mattina si è consumato l’addio tra Capodichino e la compagnia di bandiera. Puntuale è arrivato il volo AZ1283 da Linate con 60 passeggeri, quelli rimasti dai 130 attesi che, evidentemente, senza volo di ritorno in giornata hanno scelto altre strade, puntuale è ripartito l’AZ1284 con altri 93 viaggiatori.
L’ultimo take off chiude un rapporto che con Napoli e il suo aeroporto si era da tempo spento: mentre Capodichino cresceva, l’Alitalia scappava.
Da primo vettore a Napoli, la compagnia era finita in fondo alla classifica proprio mentre, negli ultimi anni, la città e il suo scalo macinavano record su record.
Anni di scelte sbagliate, l’errore di non presentarsi all’altare per il matrimonio con Air France preferendo avventure e azzardi (tutti pagati a piè di lista dai contribuenti), la convinzione che il monopolio non sarebbe mai finito (e invece l’alta velocità ha polverizzato la rotta d’oro Fiumicino-Linate e, in misura leggermente minore, tutte quelle toccate dai treni veloci; così come l’aggressività commerciale delle low cost ha minato il modello di business della Freccia Alata), strutture manageriali rigonfie e incapaci di comprendere i tempi, costi - specie indiretti - insostenibili: eppure anche ieri la malinconia di qualche passeggero, soprattutto i più anziani, in partenza da Capodichino era tanta: “era la migliore, per noi era un orgoglio vederne le insegne negli aeroporti, soprattutto all’estero”.
Così come nel mondo aeroportuale si ricorda l’alta qualità della formazione degli equipaggi (ancora ben visibile nella professionalità delle tre hostess dell’ultimo volo napoletano, benché al loro ultimo giorno di lavoro con una amarezza mista a rabbia) ma anche dal pessimo rapporto tra la compagnia con la clientela («Avevo un biglietto Alitalia in code sharing con l’ungherese Malev, mi presentai all’aeroporto di Budapest per tornare in Italia: gli aerei della Malev erano tutti a terra perchè la notte quella compagnia era fallita e l’Alitalia mi lasciò in Ungheria», racconta sarcastico un altro passeggero).
E così altri racconti, anche minimi, di un rapporto sfibrato. La somma di tutto questo è un dispiacere - principalmente per chi oggi non ha più un lavoro - ma con il minimo indispensabile di partecipazione emotiva che diminuisce al diminuire dell’età dei passeggeri, quelli che negli ultimi dieci anni hanno affollato i voli, certo meno comodi e modello autobus, delle compagnie low cost ma che tuttavia hanno collegato Napoli a tutte le città europee, permettendo il crescere di un modello del fine settimana all’estero prima impossibile.
Eppure anche l’Alitalia aveva provato con un certo successo i collegamenti di Napoli con qualche città europea, a cominciare dal volo quotidiano per Parigi (subito “copiato” da Air France che ne aveva intuito la potenzialità e ne continua ad avere due diretti al giorno con, per uno dei due prezzi inferiori a quello diretto di una low cost!): poi il buio.
Alle 8.55 l’Airbus A319 ai comandi del comandante Paolo De Angelis e del secondo, il pilota-pianista il napoletano Roberto Cominati (molto noto nel mondo della musica classica, «A differenza dei miei colleghi che restano senza lavoro, io una scelta ce l’ho«) ha lasciato la pista 6 di Capodichino. Quella stessa pista da dove ieri sono partiti altri 79 voli di altre 20 compagnie che, insieme ad altre, nel 2019 hanno portato a Napoli 11 milioni di passeggeri.
L’Alitalia finisce, ma resta il conto anche con Capodichino: 2,5 milioni di euro di diritti di atterraggio da pagare alla Gesac.