L’ambiente, la politica e gli interessi da difendere

di Romano Prodi
Sabato 17 Aprile 2021, 23:30 - Ultimo agg. 18 Aprile, 08:01
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Anche se non è usuale, vorrei ritornare sui temi di politica ambientale già trattati nel mio articolo di domenica, sui risultati delle misure fino ad ora adottate e, di conseguenza, sulla possibilità di raggiungere gli obiettivi di neutralità climatica che, con un forte impegno finanziario, noi europei ci siamo lodevolmente proposti. Purtroppo non sono stato pessimista nonostante gli impegni presi in tanti summit mondiali sull’impiego delle fonti fossili negli ultimi vent’anni.

Esso, escludendo il 2020, anno del Covid in cui si è fermato il mondo, è rimasto allo stesso altissimo livello (80%), mentre le nuove rinnovabili (eoliche e solari) sono ferme al 2%. Perfino nella produzione di energia elettrica, dove si è concentrato lo sforzo delle rinnovabili, le fonti fossili contano per il 64% contro il 65% del 2000. Negli ultimi mesi, inoltre, le massime autorità mondiali in materia, come l’International Energy Report e l’Agenzia di Parigi, scrivono in modo unanime che il gap tra dove siamo e dove dovremmo essere sta aumentando e che si sono create le premesse perché nessuno degli obiettivi proposti possa essere raggiunto. Il problema è particolarmente serio per l’Italia perché, negli scorsi anni, abbiamo speso l’enorme somma di 130 miliardi di euro in sussidi per passare al rinnovabile.

Una prevalente parte di queste risorse, peraltro non gestite in modo ottimale, è stata impiegata per l’acquisto di pannelli solari cinesi o di pale eoliche di provenienza estera. Abbiamo fatto quindi un lodevole sforzo per l’ambiente ma, non essendo stato accompagnato da una strategia industriale, il nostro impegno non è stato compensato da un parallelo progresso delle strutture produttive italiane. Le autorevoli interlocutrici scrivono, inoltre, che l’autorizzazione ad estrarre una quantità aggiuntiva di gas naturale o di petrolio nel territorio nazionale è in contraddizione con i nostri obiettivi ambientali. Vorrei ricordare a questo proposito che, dovendo necessariamente essere importatori di gas e di petrolio per ancora un lungo periodo di tempo, la protezione dell’ambiente verrà meglio garantita se l’estrazione avverrà secondo le rigorose regole italiane, piuttosto che con i meno severi comportamenti degli Stati esportatori. La politica ambientale va infatti portata avanti con il massimo rigore, tenendo tuttavia conto che si tratta di un problema globale e che, come tale, va considerato.

Bisogna, a questo proposito, tenere presente che l’Europa produce solo tra il 7% e l’8% delle emissioni globali e l’Italia non arriva all’1%. Noi europei abbiamo quindi l’obbligo di continuare a essere i leader del cambiamento, ma con gli strumenti adatti allo scopo. La transizione energetica può essere portata avanti senza distruggere le nostre imprese solo se l’Europa porterà avanti la “carbon tax”, alla cui applicazione l’Italia deve contribuire in modo determinante. Se non ci difendiamo di fronte alla concorrenza di chi (a partire dalla Cina per passare all’India e, in parte, anche agli Stati Uniti) utilizza il carbone per produrre a costi minori, ci troveremo presto obbligati a rinunciare ai nostri nobili obiettivi. Nessuno deve avere il diritto di utilizzare l’inquinamento come strumento di concorrenza. Su questi temi si è svolta in questi giorni una lunga teleconferenza fra il presidente cinese Xi Jinping, da un lato, e Merkel e Macron, dall’altro. Mi auguro che i due leader europei abbiano portato avanti gli interessi dell’intero continente ma, come ha rilevato giustamente Bonanni su Repubblica, mi chiedo ancora una volta come si possa portare avanti gli interessi comuni non con l’iniziativa della Commissione, ma con un’auto delega di due Paesi, anche se particolarmente importanti. Soprattutto su temi che riguardano in particolare l’industria, settore nel quale gli interessi italiani non sono certamente inferiori a quelli francesi. Se Merkel e Macron gestiscono in modo autonomo i rapporti con la Cina nel campo ambientale lo fanno ovviamente mettendo in primo piano i pur legittimi interessi dei propri Paesi.

Teniamo presente, a questo proposito, che la transizione energetica comporta, con l’impiego di enormi risorse, un radicale cambiamento dei nostri prodotti e dei nostri modi di produrre. Il nuovo (a partire dalle batterie) si sta dirigendo verso la Germania e la Francia. Ci attendiamo perciò che i responsabili politici dell’ambiente e dell’industria italiana uniscano in un’unica strategia le nostre strutture di ricerca e di produzione, per giocare finalmente un ruolo attivo, almeno a livello europeo, nel campo delle nuove fonti di energia e nei nuovi modi di produrre. I fondi della Next Generation Eu dovrebbero infatti essere destinati a garantire il futuro della prossima generazione. 

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