Antonini: sì alle macroaree regionali, basta con gli enti a statuto speciale

di Nando Santonastaso
Martedì 20 Gennaio 2015, 23:33 - Ultimo agg. 23:39
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Il padre del federalismo fiscale, Luca Antonini, costituzionalista e docente all’università di Padova, non ha dubbi. «Che senso ha oggi tenere ancora in vita Regioni piccolissime, come il Molise o la Valle d’Aosta, che le fanno assomigliare molto più a Provincie di medie dimensioni?» si domanda. E aggiunge: «Ma pensare alle macroaree regionali senza che esse trovino spazio nella riforma costituzionale che modificherà il titolo quinto e che attualmente è in discussione alla Camera, mi pare quanto meno strano».



Non le piace la proposta di accorparle?

«Al contrario, la trovo un’idea giusta e sacrosanta. Ma la congiuntura sulla quale intervenire è questa. Non ha senso, a mio giudizio, aspettare altri due mesi, il tempo necessario alle Commissioni per definire il provvedimento e portarlo all’esame dell’Aula».

Cosa invece secondo lei converrebbe fare?

«Deve intervenire subito il governo. Tocca all’esecutivo proporre un emendamento che riscriva il perimetro delle Regioni e, soprattutto, assegni loro le specifiche competenze visto che le macroaree non sono solo un problema di superfici ma di competenze. Per farlo non c’è niente di più opportuno che utilizzare la riforma del titolo quinto visto che in essa si discute proprio delle nuove funzioni da assegnare alle Regioni».

Se n’era parlato anche nella Commissione del governo Letta ma poi tutto è rimasto fermo.

«È vero, in quella Commissione della quale facevo parte anch’io il tema del riordino delle Regioni era stato messo bene a fuoco. Si stabilì che dovevano essere previste dimensioni minime e che il loro riordino doveva comunque coincidere con la riforma del titolo quinto della Costituzione. Oltre tutto, è evidente che ridisegnare i confini vuol dire anche modificare la composizione del futuro Senato delle autonomie la cui rappresentanza avviene in base alla popolazione. Per questo, insisto, il progetto delle macroaree ha un iter quasi obbligato: ma bisogna agire adesso».

Di quante macro-regioni sarebbE giusto parlare? Lei s’è fatto un’idea precisa?

«La Fondazione Agnelli nello studio di circa 20 anni fa ne aveva calcolate dodici. Non so se ne occorreranno di meno: so di sicuro che per alcune aree, come quella adriatica, la macroregione appare omogenea al territorio perché coprirerebbe tutto il territorio che affaccia sul mare e diventerebbe un ”unicum” anche sul piano economico e dunque della competitività in funzione europea. Così come il Triveneto, con Veneto, Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia insieme. Ma qui subentra un’altra valutazione che riguarda il futuro delle Regioni a statuto speciale, uno dei nodi che la riforma dovrebbe sciogliere».

Nel senso che andrebbero cancellate o uniformate alle Regioni a statuto ordinario?

«Penso proprio di sì. Il Veneto confina con due Regioni a statuto speciale nei cui confronti la riforma in discussione in parlamento non si applica. Si rischia cioè di avere da un lato Regioni troppo ordinarie e dall’altro regioni troppo speciali. Facciamo un esempio concreto: non ha senso che alla Sicilia, Regione a statuto speciale, non si applicano i costi standard che invece valgono in Lombardia o in Campania».

Non teme che le città metropolitane finiscano per diventare quasi dei doppioni delle Regioni, riproponendo lo scontro su funzioni e competenze?

«Non è un problema remoto. Arrivo a dire che la svolta verso le macroregioni porrà un problema di riassetto e forse di ripensamento delle città metropolitane. Reggio Calabria ad esempio ha ancora un senso come città metropolitana se farà parte di una delle macroaree del Mezzogiorno?. Probabilmente no. Ma che bisogna cambiare è fuori discussione: in Italia siamo rimasti alle vecchie circoscrizioni provinciali, roba del 1948. Ne è passato di tempo da allora, mi pare...».

Il patto Caldoro-Maroni propone che la strada da seguire prenda in considerazione l’articolo 132 dela Carta che prevede la fusione delle Regioni in base alle richieste delle autonomie locali: si può fare?

«Non ne dubito ma bisognerebbe comunque avviare un processo che fatalmente impatterà con la riforma del titolo quinto. Si tratta di capire, a mio giudizio, qual è la strada più breve per raggiungere il traguardo».