Il boss del racket: «Se denunci vado in galera, ma tu finisci al camposanto»

Il boss del racket: «Se denunci vado in galera, ma tu finisci al camposanto»
di Leandro Del Gaudio
Giovedì 23 Gennaio 2020, 00:00 - Ultimo agg. 09:13
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«Se, quando esci vai alla Questura o dai carabinieri, io che mi devo fare? Trenta anni, me ne faccio 31 però tu te ne vai al camposanto, perché noi siamo assai, siamo 20 o 30 di noi: dimmi tu la data, datti tu la sentenza».  Parole cariche di violenza, in un drammatico faccia a faccia tra il boss della camorra e un commerciante taglieggiato, strozzato dal racket e dall’usura. Parole che vengono ripetute anche in una serie di messaggi via whatsapp, per rendere tutto più facile, in una sorta di chat all’insegna della violenza. 

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Oltre alle convocazioni in casa del boss, dei commercianti taglieggiati, si scopre che oggi i clan usano i social per ricordare le scadenze ai propri «clienti». Eccoli i particolari dell’inchiesta contro una costola del clan Mazzarella, i clan Luongo-D’Amico, ma anche contro i Troia di San Giorgio, a loro volta sostenuti dai Rinaldi (acerrimi rivali dei Mazzarella) e saldamente collegati al cartello dell’Alleanza di Secondigliano. Associazione camorristica, racket e usura, trentaquattro arresti, due latitanti, in una vicenda investigativa che prende le mosse dal coraggio di un commerciante, che ha avuto la forza di affidarsi ai carabinieri della stazione di San Giorgio a Cremano.

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Ne è nata un’indagine di sistema, grazie al lavoro dei militari agli ordini del comandante provinciale Giuseppe Canio La Gala, che invita tutti a una riflessione: «È decisivo costruire un rapporto di fiducia con le forze dell’ordine. Bisogna dialogare con i carabinieri e con gli altri inquirenti, perché anche da un piccolo spunto è possibile dare inizio a indagini efficaci, oltre a rafforzare il rapporto di fiducia tra cittadini e istituzioni». Ma veniamo al blitz di ieri mattina. Inchiesta condotta dai pm Antonella Fratello e Simona Rossi, sotto il coordinamento del procuratore aggiunto Giuseppe Borrelli (da ieri nominato procuratore a Salerno), ordine di arresto per Umberto Luongo e per la moglie Gaetana Visone.

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E torniamo alla storia dei social, ai messaggi via whatsapp che vedono protagonista Umberto Luongo. Siamo tra il 12 e il 13 marzo del 2016, quando dall’utenza ricondotta a Luongo vengono spediti «continui messaggi tramite whatsapp alla persona offesa e numerose chiamate al fine di convocarla al suo cospetto». Convocazioni via social che si ripetono anche ad aprile, quasi a voler sfruttare la rapidità di esecuzione della tecnologia digitale.

In sintesi, gli estorsori del clan approfittavano dello stato di bisogno delle sue vittime: una, a fronte di un prestito di 5mila euro concesso nel 2015, per poi essere costretta a prometterne la restituzione di ben 17mila, diecimila dei quali materialmente consegnati. Un’estorsione che uno degli uomini del clan ha commesso nel pieno della propria latitanza.
 

Gli arresti in carcere riguardano anche Gennaro Improta e Ciro Rosario Terracciano, già detenuti, ritenuti responsabili dell’omicidio di Luigi Mignano lo scorso aprile. Ricordate quel delitto? Siamo nel cuore del rione Villa di San Giovanni a Teduccio, quando viene ucciso Mignano, cognato del boss Ciro Rinaldi, in un agguato scattato davanti a un bambino di soli quattro anni. Un piccolo costretto a lasciare lo zainetto di spider man, a scappare in auto, a chinarsi sul tappetino dell’auto, pur di schivare i colpi. 

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Stando alla ricostruzione della Dda di Napoli, negli ultimi quattro anni, la guerra tra i Mazzarella e quelli di Secondigliano, si sarebbe trasferita in Provincia: a Marigliano, dove è stato consumato il delitto De Bernardo; ma anche e soprattutto a San Giorgio a Cremano, dove non sono mancati metodi di particolare violenza. È in questo senso che il clan avrebbe «convinto» le sue vittime «a suon di bombe»: uno degli episodi intimidatori contestati riguarda proprio un attentato con delle bombe carta a una officina. Determinante per il clan Luongo è risultato anche il ruolo della moglie del boss Umberto Luongo, Gaetana Visone, che accompagnava il marito ai summit con i capi delle altre organizzazioni camorristiche, faceva da intermediaria tra Luongo, gli affiliati e le famiglie dei detenuti. Un capitolo a parte, il tentativo interno al clan Mazzarella di far ritrattare un pentito, in modo da disinnescare la portata delle rivelazioni del pentito oggi affidate al vaglio dei giudici. 

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