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Così la sanità “differenziata” allargherà il divario Nord-Sud

di Pietro Spirito
Articolo riservato agli abbonati
Sabato 4 Febbraio 2023, 00:00
4 Minuti di Lettura

Si sta giocando in queste settimane una partita fondamentale per il futuro della nazione. Il progetto di autonomia differenziata porterà ad approfondire le differenze nella dotazione di servizi essenziali per i cittadini. Già oggi non si scherza, da questo punto di vista. Per come è formulata la proposta governativa, siamo ai confini estremi della costituzionalità, perché viene in discussione il principio di eguaglianza delle opportunità e di accesso ai servizi essenziali tra i cittadini di diversi territori. 

Non basta definire i Livelli Essenziali di Prestazioni (LEP): bisogna metterci i quattrini secondo modalità che assicurino l’accesso a servizi adeguati. Ed è necessario garantire criteri organizzativi di efficienza nella spesa. Questa altra faccia della luna è questione che non va sottovalutata, soprattutto nelle regioni meridionali.

Non parliamo poi della apertura all’autonomia differenziata in settori che sono strategici per tenere unita e competitiva una nazione: grandi reti di trasporto e di navigazione, porti, ordinamento delle comunicazioni. Ci apprestiamo a mettere in campo ventuno sistemi logistici, esattamente il contrario di quello di cui avremmo bisogno. Già scontiamo un deficit di connessioni adeguate, che viene pagato dalle imprese e dai cittadini: andremmo incontro ad un peggioramento verticale di questa diseconomia strutturale, generando un danno grave per una economia come la nostra, basata sulle esportazioni.

Queste affermazioni sono suffragate dalla esperienza concreta. Esiste un settore, la sanità, nel quale sono stati misurati gli effetti della responsabilità regionale nella gestione, ancor prima di approfondire ulteriormente le autonomie. Già ieri Il Mattino ha riportato i risultati di uno studio prodotto dalla Fondazione GIMBE: misurare gli effetti di un settore già profondamente regionalizzato costituisce la prova del nove sui possibili futuri scenari. I dati, elaborati dal Ministero della Sanità, documentano non solo la persistenza, ma anche l’accentuazione, di inaccettabili diseguaglianze tra i 21 sistemi sanitari regionali, sia nell’offerta di servizi e prestazioni sanitarie sia negli esiti di salute. 

Proprio la misurazione effettuata nel corso di questi anni testimonia che già il solo regionalismo concorrente ha peggiorato i differenziali tra i territori, fornendo la prova delle preoccupazioni di chi considera il potenziale approfondimento delle autonomie come un rischio gravissimo. La sanità rappresenta da oltre 20 anni un servizio nazionale che si sta frantumando in destini molteplici differenziati, come dimostrano i risultati della applicazione degli standard nazionali (LEA). I risultati del monitoraggio testimoniano che il gap strutturale Nord-Sud è addirittura peggiorato, come documentano anche i dati sulla mobilità sanitaria. E la Corte dei Conti ribadisce che “non è un caso che le Regioni con maggiore capacità attrattive siano posizionate nei primi posti nel punteggio complessivo assegnati per la valutazione dei LEA relativi all’anno 2019”. 

Le tre Regioni del Nord alfiere della autonomia differenziata (Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna) hanno avanzato richieste di maggiore libertà in una serie di materie particolarmente sensibili e rilevanti: rimozione dei vincoli in materia di assunzione del personale; maggiore autonomia in materia di accesso alle scuole di specializzazione; possibilità di stipulare, per i medici, contratti a tempo determinato; possibilità di stipulare accordi con le Università del rispettivo territorio; maggiore autonomia nello svolgimento delle funzioni relative al sistema tariffario, di rimborso, di remunerazione e di compartecipazione, per gli assistiti residenti nella Regione; maggiore autonomia nella definizione del sistema di governance delle aziende e degli enti del SSN; possibilità di sottoporre all’Agenzia italiana del farmaco (AIFA) valutazioni tecnico-scientifiche relative all’equivalenza terapeutica tra diversi farmaci; competenza a programmare interventi sul patrimonio edilizio e tecnologico del Servizio Sanitario Nazionale in un quadro pluriennale certo e adeguato di risorse; maggiore autonomia legislativa, amministrativa e organizzativa in materia di istituzione e gestione di fondi sanitari integrativi; maggiore autonomia in materia di gestione del personale del SSN, inclusa la regolamentazione dell’attività libero-professionale; competenza a definire, sotto profili qualitativi e quantitativi, le forme di distribuzione diretta dei farmaci per la cura dei pazienti. Cosa resterebbe del servizio sanitario nazionale? Solo macerie, forse neanche il nome.

L’attuazione delle ulteriori autonomie richieste dalle tre Regioni del Nord con le migliori performance sanitarie è inevitabilmente destinata ad ampliare le diseguaglianze di un Servizio Sanitario Nazionale, già oggi universalistico ed equo solo sulla carta. Il regionalismo differenziato finirà per legittimare normativamente - e in maniera irreversibile - il divario tra Nord e Sud, violando il principio costituzionale di uguaglianza dei cittadini nel diritto alla tutela della salute.

Il Presidente Sergio Mattarella, nel discorso di fine anno 2022, con particolare riferimento al Servizio Sanitario Nazionale, ha affermato che “occorre operare affinché quel presidio insostituibile di unità del Paese rappresentato dal Servizio Sanitario Nazionale si rafforzi, ponendo sempre più al centro la persona e i suoi bisogni concreti, nel territorio in cui vive”.

Più che rafforzarsi, il servizio sanitario nazionale approfondirà le proprie differenze intollerabili, se dovesse realizzarsi lo scenario della autonomia differenziata. Aumenterà il turismo sanitario del Sud al Nord, mentre i livelli di assistenza degraderanno ulteriormente nel Meridione. Negli altri settori candidati alla autonomia si determinerà la stessa parabola regressiva. La forbice delle divergenze si accentuerà, inevitabilmente, anche perché molte delle materie contenute non si prestano alla frammentazione delle responsabilità: si determineranno diseconomia di scala dannose per la nazione nel suo insieme. Per i meridionali non resterà che il destino dei migranti, per i più fortunati non per motivi sanitari.
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA
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