Ballottaggi, il messaggio alle coalizioni: ora basta liti

di Paolo Pombeni
Lunedì 29 Maggio 2023, 23:45 - Ultimo agg. 30 Maggio, 06:00
4 Minuti di Lettura

Restiamo un Paese complicato, ma non c’è alcun segnale di cambiamento di rotta rispetto alla direzione indicata dalle elezioni del 25 settembre scorso. La coalizione che è uscita vincitrice da quella prova vede un ulteriore rafforzamento: i ballottaggi nelle città maggiori (i centri minori sono meno interpretabili perché cresce il peso delle peculiarità locali) premiano la destra-centro.

Questa supera un tornante come il ballottaggio di solito non favorevole ad essa che non si allarga, mentre lo faceva la sinistra dopo essersi presentata disunita al primo turno. Si tratta ovunque di coalizioni plurali. Nel primo caso prevale nettamente FdI, ma non si mangia gli alleati. Nel secondo caso il primo partito è il Pd, ma non in maniera veramente determinante. Soprattutto esso non è insidiato dai Cinque Stelle che pesano ormai pochissimo, ma la coalizione deve il suo risultato ad un vasto numero di frammenti in cui stanno anche molte liste più o meno civiche.

Trarre da risultati locali grandi indicazioni generali è arrischiato se si esagera nel proclamare trend storici, ma funziona se si circoscrive l’analisi alle ricadute parziali che ogni test elettorale di qualche ampiezza può avere sull’opinione pubblica e sulla tenuta del governo nazionale. Da questo punto di vista le indicazioni che, con tutte le cautele, ci pare possibile trarre sono tre.

La prima è che indubbiamente la destra-centro non gestisce il governo nazionale grazie a ciò che si era cercato di ridurre a colpo di mano occasionale dopo una fase politica caratterizzata da governi piuttosto peculiari, ma per un radicamento che ha nel paese come dimostra la sua tenuta in città di recente conquista come quelle toscane, la sua vittoria in un caso come quello di Ancona, la sua presenza al Sud. Questo rafforza la leadership di Giorgia Meloni, soprattutto se si pensa che i ballottaggi si sono tenuti dopo l’evento traumatico dell’alluvione, che poteva essere un momento difficile da gestire per la premier, mentre ha giovato alla sua immagine.

La seconda è che non siamo davanti a vittorie che sbaragliano il campo dagli avversari. Il Paese è diviso se non proprio in due, quasi, e dunque è bene per tutti lasciar perdere sia le stupidaggini sul “non si fanno prigionieri” (infelice battuta occasionale di un politico poi scomparso dalla scena), sia le demonizzazioni selvagge dell’avversario che tanto piacciono a chi fa spettacolo (non intaccano le scelte degli elettori).

Da una parte e dall’altra si devono rimodulare i registri, soprattutto se si vuole scalfire la tenuta della metà del corpo elettorale che si astiene.

Ai ballottaggi ha votato il 49,6% degli aventi diritto, il che significa che vanno alle urne i “convinti” dell’una e dell’altra sponda, mentre gli altri non si fanno coinvolgere nella lotta fra angeli e demoni. Dunque entrambe le coalizioni farebbero bene a concentrarsi sulla conquista dei consensi sulle cose da fare, anziché impelagarsi nelle narrazioni identitarie (servono solo a foraggiare i professionisti del settore) o rincorrere le pulsioni delle minoranze alla moda.

La terza indicazione è, non sembri paradossale, che il Paese si muove ancora e non lo fa lungo linee astratte di appartenenze di bandiera, ma per linee di riscoperta delle virtù del buon governo delle esigenze dei cittadini. Specialmente la sinistra che tifa per la supposta svolta introdotta da Elly Schlein dovrebbe ragionare su dove e su come ha vinto. Brescia prima e poi Vicenza, ma prima ancora tempo fa Verona, mostrano che il successo arriva per chi mette al centro la volontà di lasciar da parte le parate da talk show e punta sul coinvolgimento dei propri concittadini nella gestione della non facile contingenza che ci troviamo davanti.

Non si può fare a meno di registrare sconfitte della Lega in quel lombardo-veneto che doveva essere il suo fortilizio inespugnabile (magari la cocciutaggine sull’autonomia differenziata evidentemente non aiuta).

È assai significativo che il centro destra mantenga Pisa, Siena e Massa, cioè ex fortini della Toscana rossa: risultati che non si spiegano se non con un giudizio positivo di quelle popolazioni su modi di governare diversi rispetto a certi mantra che vanno per la maggiore da quando il riformismo sostanziale che aveva l’egemonia in quelle terre è stato mandato in soffitta.

Una lettura pacata e distaccata dei trend rilevabili nelle città maggiori sarebbe molto utile per partiti che si preparano, anche con un eccesso di affanno, alle elezioni europee del prossimo anno che ciascuno giocherà per sé grazie al sistema proporzionale. Potrebbe portare a valutare che le esasperazioni identitarie, le corse e rincorse alle demonizzazioni reciproche, la ricerca disperata di bandierine da distribuire ai propri pasdaran non servono a molto. Scegliere bene i candidati aiuta molto di più: FdI in questo ha mostrato capacità che non andrebbero sottovalutate. 

© RIPRODUZIONE RISERVATA