Per una sovrapposizione del caso: la mano di Victor Osimhen che accusa Rudi Garcia al momento della sostituzione a Bologna dice due, ma con le dita a V che significano anche vittoria, quella che manca al Napoli.
Nelle potenzialità di quella mano e di quel corpo c’è anche l’assenza, quella tattica, di cui l’attaccante nigeriano si lamenta. Osimhen chiedeva di non essere sostituito ma supportato, mentre Garcia sembra vivere in un mondo tutto suo, molto in ritardo rispetto a quello dove si gioca il campionato italiano. Poi quelle dita, disposte in quel modo, per il mondo inglese significano anche altro, almeno nel passato in cui la Nigeria fu colonia, e se ne accorse con molta ironia Winston Churchill (trovate la soluzione nel film “L’ora più buia”).
Quello che invece trova il Napoli sono i tormenti di Osimhen che dopo aver resistito agli assalti arabi e non solo, in estate, si ritrova sotto accusa di commentatori ed ex calciatori (spesso il sintomo si presenta insieme) che non potendo più dare il cattivo esempio, danno consigli come Gesù nel tempio (da Paolo Di Canio a scendere). I fatti dicono che a Bologna, con un assurdo Jack Raspadori a fare l’esterno alto, Osimhen ha avuto un solo pallone giocabile in velocità e ha colpito il palo. Poi ha sbagliato un rigore. Che in realtà era dentro, come quello di Roby Baggio a Pasadena (intuizione del Lama Enzo Jannacci). Quel rigore era dentro la tensione di Osimhen, la sua rabbia, il suo correre a vuoto non avendo più i palloni che prima gli cadevano copiosi su testa e piedi, e davanti ai quali lui apriva strada che portavano al gol. Ora, con Garcia, questo non avviene, il resto è conseguenza. Perciò Osimhen dopo essere stato sostituito quando andava supportato per vincere – perché il Napoli deve fare punti se vuole difendere lo scudetto non pareggiare le partite come piace masochisticamente a Garcia – ha dato fuoco alle micce, più di come aveva fatto Kvaratskhelia a Genova.
Platealmente ha dissentito ed ha spiegato al suo allenatore che voleva una seconda punta a supporto per cercare il gol che mancava al Napoli – sentendone la colpa – e invece ha avuto in cambio un posto in panchina. Osimhen da quando gioca a Napoli non è uscito una volta dal campo senza aver ossessivamente cercato il gol, senza essersi trasformato in un demone che tormenta le difese avversarie, senza aver cercato in ogni modo di metterla in porta, come ha fatto anche a Bologna. Fiaccare questa sua ossessione – confermata con la nazionale nigeriana – è sbagliato. E se un calciatore come Osimhen, che sta in scia di Haaland, che ha guidato la squadra allo scudetto e alle bellissime prestazioni in Champions League, dopo aver chiesto – maradonianamente – rassicurazioni sul progetto è rimasto a Napoli e chiede di giocare e di essere il centro del gioco, deve giocare e deve essere servito con tutti i palloni possibili. Altrimenti andava ceduto. Capitalizzando la grandezza accumulata a Napoli. Vederlo disperarsi in campo per i cross che non arrivano – col Bologna, Garcia ha inchiodato i terzini che sono il motore del calcio di questi anni – e poi, di conseguenza, per la sostituzione: fa male. Malissimo. Come faceva male vedere Kvara protestare al “Ferraris”.
E se i due leader dell’anno dello scudetto protestano, qualcosa che non va c’è o no? Poi, Osimhen è meno introverso del georgiano ed esplicita tutto, la sua uscita era una conferenza stampa con l’opposizione alla tattica scelta da Garcia. Dove prima c’erano sorrisi e abbracci, ora ci sono urla e strepiti; dove prima c’erano gol e azioni indimenticabili ora ci sono lanci lunghi e palloni da conquistare facendo continuamente a sportellate con i difensori; dove prima c’era geometria e palle sui piedi ora ci sono strappi e palloni da riconquistare in inferiorità; se si sommano questi dati si capisce il cambiamento e di conseguenza il nervosismo di Osimhen, che poi non è mai stato calmo, anzi. Il suo temperamento è sempre stato caldissimo, proprio perché giocava e gioca come un leone a caccia. Era ed è questa l’indole che lo porta ai gol.
È innegabile che il Napoli ha rallentato il ritmo, modificato le distanze tra i reparti e cambiato le mansioni a molti calciatori, e a Bologna Osimhen ha sentito tutta la solitudine del numero nove. Esplodendo. Ha mostrato la sua frustrazione vedendosi sottratto il tempo per recuperare a un errore dal dischetto. Adesso il punto è: il Napoli vuole perdere uno dei tre maggiori attaccanti del momento (con Mbappé e Haaland che ha costretto uno come Pep Guardiola a modificare il suo gioco davanti) e i suoi gol, in funzione di un gioco che non produce né bellezza né punti, o vuole dargli di nuovo la calma e i palloni per segnare?
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