Caffè patrimonio Unesco, Napoli batte il Nord

di Antonio Menna
Venerdì 26 Febbraio 2021, 00:00 - Ultimo agg. 07:00
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Il caffè napoletano vince sui colossi dell’industria settentrionale, soprattutto quella dell’asse lombardo-veneto. Sud batte nord, per una volta. Tra Totò, Peppino e il ragionier Casoria, Eduardo con il monologo sul balcone di Pasquale Lojacono in Questi fantasmi, la cuccuma, la tazzina sospesa, il rito storico che si fa cultura popolare, la sosta al bar che diventa pausa esistenziale.

La «cultura del caffè espresso napoletano tra rito e socialità» ottiene il via libera dal Ministero dell’agricoltura ed entra nell’Inventario nazionale del patrimonio agroalimentare italiano, quello che disciplina i marchi di garanzia come il Doc, il Dop, l’Igp. Con questo titolo, la tazzulella vola verso l’ambito riconoscimento di bene del Patrimonio immateriale dell’umanità Unesco, a cui si è candidata ufficialmente nell’estate del 2020, prima con una raccolta di firme poi con un dossier aperto dalla Regione. Nella corsa, si lascia alle spalle un curioso concorrente, il «Caffè espresso italiano tradizionale», che ambiva al medesimo riconoscimento, in una singolare concorrenza nazionale, che – con un potente consorzio di 15 imprese e un cospicuo investimento - aveva presentato una candidatura con un dossier, il quale però non sembra aver convinto abbastanza il Gruppo di lavoro insediato presso il Ministero, presieduto da Giuseppe Ambrosio.

Prevale Napoli, dunque, e non solo per sapore, gusto e qualità del suo caffè. Ma per il sentimento più profondo del rito, quella miscela di umanità e lentezza, di relazione e senso della vita che accompagna da sempre una bevanda che nell’immaginario collettivo è già più Napoli che Italia. «Abbiamo lavorato con grande determinazione – dice il consigliere regionale Francesco Emilio Borrelli, presidente dell’Osservatorio regionale sui patrimoni culturali del Consiglio campano -, come facemmo anni fa sull’arte del pizzaiuolo napoletano. Questo primo riconoscimento ci dà ottime possibilità di arrivare al risultato finale ed è importante notare che prevale la cultura sul commercio, la tradizione sul budget.

Naturalmente questo si tradurrà anche in grande opportunità sul piano del rilancio turistico ed economico, com’è stato per i pizzaioli. Da questi riconoscimenti possono derivare ricadute importanti sull’economia locale».

«Siamo ovviamente molto soddisfatti ma non vogliamo alimentare conflitti – dice Michele Sergio, del Gran Caffè Gambrinus, che ha dato un contributo fondamentale al progetto -. Noi abbiamo anche auspicato una candidatura unica, e stiamo ancora lavorando per questo. Unificare i progetti e arrivare a un riconoscimento che tenga tutto insieme. Avremo una riunione ai primi di marzo per capire se ci sono le possibilità. Naturalmente per noi l’indicazione “napoletano” nel titolo è irrinunciabile. Del resto, la cultura dell’espresso napoletano è un bene nazionale, un patrimonio per tutti».

Non è il primo caffè a entrare nella lista dei beni Unesco. Nel 2013 lo stesso riconoscimento è stato dato al Turk Kahvesi, il caffè turco, che a sua volta ha una storia di cinque secoli. Qualche anno dopo, nell’elenco è entrato anche il caffè arabo. Entrambi sono stati premiati non solo per la qualità dei loro prodotti ma per una densa storia popolare, che si disegna nella tradizione della vita collettiva. Le tre bolliture, per quello turco. Un rito di preparazione di almeno dieci minuti, per quello arabo, che avviene davanti agli invitati, una caffettiera speciale (dallah) come una brocca, la lentezza dei tempi, la necessità che si depositi il residuo e che quell’attesa si riempia di relazione. «Esattamente quello che succede col caffè napoletano – sottolinea Sergio -, che ha una sua cultura unica e irrinunciabile. L’espresso italiano si perde tra tante altre bevande, al punto da smarrire la tradizione. Quello napoletano, invece, ha un tratto universale di riconoscibilità, che lo rende unico».
 

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