La vetrina social è croce (e delizia) dei calciatori

di Marco Ciriello
Giovedì 22 Settembre 2022, 00:00
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Immobile, Acerbi e i giovani – arrabbiati – d’oggi. Potrebbe essere un film divertente, parafrasando Totò, invece sta diventando un problema. 

Da un po’ di tempo i calciatori, gli allenatori e i presidenti hanno una difficoltà con i social e i loro seguaci: sempre più si travalica arrivando all’indicibile. È successo a Francesco Acerbi, a Ciro Immobile, a Siniša Mihajlovic: prima eroe per via della sua malattia, poi yogurt scaduto per via dei risultati del suo Bologna. È la logica del marziano di Ennio Flaiano, che non a caso quando venne messo in scena fu fischiatissimo, non compreso, eppure c’era Vittorio Gassman insieme al grande scrittore e alla sua intuizione di come tutto si consumi, l’unica differenza sta nel tempo. Oggi un calciatore si può consumare in meno di novanta minuti, un portiere bravissimo può essere crocifisso nella sua area di rigore da una ripartenza dal basso non riuscita, un attaccante da un gol fatto, e, peggio, un panchinaro da una espressione sbagliata. 

Il limite dell’accettabilità, della critica, viene travalicato con una violenza che forse fa più male dei cori perché è scritta o filmata e rimane, arrivando anche a chi non ha interesse ad apprezzarla o respingerla. Il calciatore d’oggi, che ieri trovava l’assolutismo nella figurina Panini, evitando il faticoso giornalista e le sue domande, trova nel profilo social l’esibizione di sé: può mostrarsi ballerino, chef, cantante, o in una altra prosecuzione banale della sua fama, e continuare ad essere idolatrato, anzi l’allargamento di sé è una corona che arricchisce poi il gesto sportivo compiuto. Si elimina lo scomodo, e si allarga il seguito. Poi, però, cambiando squadra, sbagliando un gol, segnandone uno nella porta sbagliata, tutto crolla, cominciano le offese partendo proprio dal futile che sembrava così utile, e si scantona fino alla minaccia. 

A riprova che il problema dell’occidente è la libertà: sia quando si prova ad esportarla sia quando la si subisce. Acerbi passando dalla Lazio all’Inter si ritrova travolto, si sente massacrato, e invoca un limite al quale si accoda Immobile, ma quel limite dovrebbe essere dentro chi offende. È un tema difficilissimo perché i denigratori, i grandi insultatori c’erano già, tanto che quando Éric Cantona ne colpì uno per educarne milioni fu criticatissimo: chissà quanti ragazzini che oggi giocano e subiscono giudizi impropri pensarono che era esagerato, in realtà era uno scontro estremo nell’ultimo posto dove si rappresentava il conflitto di ogni genere – sociale, culturale, religioso ed etnico: lo stadio.

Acerbi e Immobile sono meno pronti e rudi di Cantona e denunciano quando vengono offese le loro famiglie, ponendo un problema di categoria: che fare? Dove la libertà del calciatore e la sua esibizione possono sopportare la critica? Tra l’altro in un Paese dove persino quella cinematografia e letteraria sono mal tollerate (si veda l’ultimo caso di Amelio al Festival del cinema di Venezia). E dove il tifoso può spingersi a criticare con il linguaggio che ritiene adatto? Se Immobile segna, il tifoso vorrà più parole, racconti, balli in casa, vista dal terrazzo di casa, menù della cena e lui li concederà, ma se Immobile non segna: tutto questo racconto sarà l’arma da rivoltargli contro (esempio: balla e perde tempo invece di allenarsi), fino ad occuparsi troppo dei figli e poco dei compagni di squadra.

Se è vero che le offese sono tante e si consumano in un tempo brevissimo, è anche vero che il motivo delle offese è l’esibizione di un amore spesso effimero, o di un gesto troppo cantato e troppo denigrato. Perché la domanda successiva è si possono regolare i sentimenti? Se il giocatore X narra di un amore per la squadra Y ogni giorno, su ogni social, e poi lo stesso amore d’improvviso viene cancellato con un clic e cambia per la squadra W: è normale o no che il più scemo dei tifosi della squadra X non trovi di meglio che offendere il calciatore? E l’esercizio del tifo non è per sua natura un eccesso? E gli eccessi economici o di esercizio del ruolo comprendono anche le offese? Forse un calciatore invece di invocare un limite – come il Robertino di Massimo Troisi che voleva sapere quante volte si potesse amare – dovrebbe scegliersi un esempio meno censorio come l’ex presidente Barack Obama che sbarcando su Twitter, come Potus (presidente in carica), davanti a insulti – anche razzisti – rispose: fa parte del gioco.
 

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