L'ultima spiaggia dei mega club campioni di debiti

di Gianfranco Teotino
Martedì 20 Aprile 2021, 00:00
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Hanno spaccato il calcio e non hanno niente da mettersi. Altro che grandi club, sono tutti sull’orlo del fallimento. La pandemia sta dando loro il colpo di grazia. Già avevano conti traballanti, viaggiavano sull’orlo del burrone. Adesso sono quasi alla disperazione. Ecco perché hanno rotto. Si autodefiniscono “prestigiosi”. Dicono di essere i migliori, con i migliori giocatori.

Ma la loro ricchezza è puramente teorica. A leggere i bilanci si scopre che quella sporca dozzina, i dodici fondatori della Super Lega europea, possono vantare un totale di 10 miliardi e 559 milioni di euro di passività e oltre 5 miliardi e 700 milioni di debito netto. Numeri che fanno tremare tutto il sistema e che spingono gli azionisti di queste società agonizzanti a essere disposti a tutto pur di salvarsi.

Certo, lo sappiamo, anche il presidente Draghi lo spiega spesso, esiste debito buono e debito cattivo. Il miliardo e 700 milioni di liabilities del Tottenham, nessuno ne ha di più, è appesantito dall’investimento fatto per ricostruire lo stadio ed è perciò più nobile del miliardo e 438 milioni del Barcellona. La stessa cifra monstre del club catalano, pari a 1,97 volte il fatturato al netto delle plusvalenze (728,8 milioni), alla fin fine è più sostenibile dei 937,7 milioni delle passività della Juventus, che corrispondono a 2,30 volte il fatturato (406.8 milioni). Tanto per cambiare, sono i tre club italiani a stare peggio fra i dodici in fuga dal calcio così come lo conosciamo: il Milan detiene il poco invidiabile primato del peggior risultato netto: -194,6 milioni, mentre l’Inter ha il peggior rapporto fra passività e fatturato: 3,06.

In totale, i dodici superleghisti hanno accumulato circa 750 milioni di perdite nell’ultimo esercizio conosciuto (2019-20). Hanno finito in rosso tutti tranne Real Madrid, per maggiore solidità complessiva, e Chelsea, perché aveva il mercato bloccato. Ma dopo questa annata interamente flagellata dal Covid la situazione peggiorerà: cresceranno in misura significativa deficit e debito. Anche perché l’unica misura presa per far fronte alla consistente diminuzione dei ricavi è stata la sospensione, più o meno concordata, del pagamento di parte degli stipendi dei giocatori. Non la cancellazione, almeno per ora, ma una dilazione che peserà ovviamente sui prossimi bilanci. Pure qui le società italiane coinvolte, Inter su tutte, sono in prima fila. 

Cifre drammatiche. Che sono alla base di questo strappo così repentino. Magari non lungimirante, perché il domani va scritto ed è tutto da dimostrare che la scelta effettuata sia figlia di “una visione strategica” e garantisca “un approccio sostenibile dal punto di vista commerciale per accrescere valore e sostegno a beneficio dell’intera piramide calcistica europea”, come scritto nel manifesto di lancio della Super Lega. Parole che fanno sorridere viste le reazioni che lo scisma ha suscitato non solo fra gli appassionati, ma anche all’interno del sistema calcio. Tuttavia, in Borsa il titolo del Manchester United è salito ieri di quasi il 10% e quello della Juventus ha chiuso con un balzo del 17,85%, che sarà pure frutto dell’emotività del momento ma certamente ha fatto sorridere Andrea Agnelli e gli azionisti Exor.

Vedremo poi se questa scelta di rottura pallonara avrà invece effetti negativi sulle attività non finanziarie, ma commerciali del gruppo (in soldoni, la vendita delle auto). I calciofili di tutto il mondo non l’hanno presa bene e lo stesso Agnelli è diventato il bersaglio di ferocissime critiche internazionali, per quanto i tifosi juventini sembrino averla presa meno negativamente dei supporter inglesi o degli stessi interisti e milanisti.

In ogni caso, ad accelerare la rottura è stata l’offerta di JP Morgan, il colosso bancario che sostiene l’intero progetto Super Lega, di mettere subito a disposizione dei fondatori un tesoretto di 3,5 miliardi di euro, il che significa una somma che oscillerà fra i 200 e i 300 milioni subito a disposizione di ciascun club in un momento di crisi soprattutto di liquidità. Cui pare si possa aggiungere un prestito garantito dai diritti televisivi, a tassi d’interesse favorevolissimi al 2/3%, per circa 264 milioni l’anno. Ossigeno, in questa situazione, impossibile da rifiutare, ma che richiedeva un impegno immediato ad aderire all’iniziativa.
Che poi la Super Lega possa davvero triplicare i ricavi garantiti oggi dalla Champions League è tutto da dimostrare. C’è chi sostiene che la vincitrice porterà a casa circa 400 milioni rispetto ai 120 attuali. Previsioni che non tengono conto della partenza falsa del progetto. Dire che i fondatori sono 15, ma presentarsi soltanto in 12 è già un primo fallimento. La confermata assenza di squadre tedesche e francesi rende subito l’anatra zoppa. E’ evidente che le tre mancanti siano Paris St. Germain, Bayern Monaco e Borussia Dortmund che si sono tirati indietro all’ultimo. Anche le reazioni unanimemente negative delle istituzioni europee, dei governi nazionali e della politica in genere, da destra a sinistra, sono una bella zavorra sulle speranze dei promotori, probabilmente illusi dai loro uffici legali di essere giuridicamente dalla parte della ragione.

Si è molto parlato in queste ore di modello Nba che non può essere applicato al calcio. Ma se le minacce di Fifa e Uefa di escludere le squadre coinvolte da tutte le attuali competizioni e i calciatori partecipanti dai Mondiali e dagli Europei si trasformeranno in provvedimenti in vigore, si andrà oltre lo scimmiottamento dello sport professionistico Usa. Si tornerà piuttosto, i meno giovani lo ricorderanno, a esibizioni del tipo degli Harlem Globetrotters, quel gruppo di funamboli del basket che nel secolo scorso si esibiva in tutto il mondo con notevole successo, composto da giocatori di grande talento a fine carriera o comunque più propensi alle esibizioni che al vero sport. 

Se invece si vuole salvare il calcio, bisognerà fare raffreddare un po’ gli animi e risedersi tutti attorno a un tavolo a ragionare sulla necessità di difendere sì i principi della sana competizione aperta a tutti e basata sul merito sportivo, ma anche di capire che c’è una necessità di rinnovamento che va al di là della drammatica congiuntura economica. C’è il rischio che le giovani generazioni abbandonino il gioco più bello del mondo. Un rischio che non si può scongiurare correndo a prendere soldi in banca o litigando nelle aule dei tribunali

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