Camorra a Napoli, le vittime e i killer sono coetanei: è la mattanza dei ventenni

Camorra a Napoli, le vittime e i killer sono coetanei: è la mattanza dei ventenni
di Leandro Del Gaudio
Lunedì 11 Ottobre 2021, 23:30 - Ultimo agg. 25 Marzo, 04:37
5 Minuti di Lettura

Hanno la stessa età. Quelli che ammazzano e quelli che vengono ammazzati. Hanno appena il tempo di guardarsi negli occhi - giusto il tempo di riconoscersi al di là dei volti travisati e della maschera di pietra che si compone di fronte a un agguato - prima di inchiodarsi ai loro ruoli. Killer e vittime coetanei. È la faida dei ventenni. Tre omicidi in due mesi, siamo in zona millennials, ecco la camorra napoletana. Poca scuola - a stento un paio di anni alle medie - molta strada e tantissimo tempo sprecato sui social. Killer digitali: sparano, ammazzano, chattano e postano sui social con la stessa disinvoltura. Quanto basta a spingere gli inquirenti napoletani a una riflessione, nel corso di una riunione informale con la stampa, a proposito delle condizioni di degrado che investono gli ex quartieri operai e industriali della periferia di Napoli, da Ponticelli a Secondigliano e Pianura: «Dispersione scolastica, marginalità sociale, analfabetismo di ritorno, condivisione di simboli criminali (dai murales ai tik tok). Sarebbe un errore clamoroso affidare solo alla magistratura il campo di azione di contrasto alla camorra: si tratta di emergenze che, al di là dell’approccio penale, dovrebbero chiamare in causa l’intero comparto pubblico dello Stato». Chiaro il ragionamento, alla luce dell’ennesima recrudescenza criminale: non bastano arresti e provvedimenti tampone per fermare la mattanza. Non si sradica così la camorra. 



Ma torniamo agli ultimi agguati consumati a Napoli. C’è un leit motiv e riguarda l’aspetto generazionale di chi uccide e di chi viene ucciso: aveva 19 anni Giuseppe Fiorillo, l’ultimo morto ammazzato.

Figlio degli anni zero. Come i suoi carnefici. Droga, la pista privilegiata. Inchiesta condotta dalla Dda di Napoli, al lavoro il pm Lucio Giugliano, potrebbe essere stato ucciso per un litigio nato con chi rifornisce la piazza del terzo mondo, feudo storico dei Di Lauro. Una possibilità su cui battono gli uomini della Mobile, in un panorama criminale che, ridotto all’osso, offre sempre lo stesso canovaccio: duemila euro per gestire la piazza, ma i quattrini vanno restituiti e non sempre i conti tornano. Soldi da restituire, sconfinamenti. Si attendono riscontri. E non è l’unico ventenne ucciso a Napoli in questi mesi. Poco più grandi di lui gli altri due morti ammazzati di recente. Parliamo di Carmine D’Onofrio, 23 anni, un manovale con parentele scomode. Lavori saltuari, si era infortunato nei pressi di un cantiere, prima di essere colpito a morte, non lontano dalla propria abitazione.

Ucciso perché nipote di Antonio De Luca Bossa, boss e killer scissionista della prima ora, qui a Ponticelli. Ricordate Tonino ‘o sicco? Venne condannato all’ergastolo per aver saltato in aria un’autobomba in via Argine, nell’ormai lontano 1998. Un agguato contro i Sarno, all’epoca egemoni sul territorio. Ventitrè anni dopo è ancora un ordigno esplosivo a segnare la fine di un ventenne o giù di lì. D’Onofrio viene ucciso per vendetta trasversale nei confronti dei De Luca Bossa, dopo la bomba di via Piscettaro di due settimane fa, quella indirizzata contro Marco De Micco, scarcerato dopo quasi otto anni di cella. 

Ma non è finita. Nella (quasi) indifferenza generale, pochi mesi fa si è consumato un altro agguato contro un giovane residente nelle periferie metropolitane. Siamo tra il 19 e il 20 agosto scorso, caldo torrido a Pianura, nell’ultimo giorno di vita di Antonio Zarra. Periferia occidentale, palazzoni cresciuti in fretta sotto i colpi del sacco edilizio degli anni Settanta, tra abusi e condoni, la vittima ha 25 anni, poco più di chi ha premuto il grilletto. Come ai Quartieri Spagnoli, dove - siamo sempre allo scorso agosto - una banda di killer ragazzini viene immortalata a seminare panico tra i vicoli. Quattro arresti della Mobile del primo dirigente Alfredo Fabbrocini, per l’agguato di giugno, quello - per intenderci - in cui vengono feriti in modo grave due passanti.

Chi ha fatto fuoco? Stando alle indagini, un ragazzino. Un minore. Uno molto simile a quelli che in questi giorni insanguinano le notti (e non solo) di Ponticelli, Secondigliano e dintorni. Anche in questo caso, il ragionamento è lo stesso. Siamo a pochi passi da via Toledo, a poche centinaia di metri da piazza Trieste e Trento, ma lo scenario è molto simile a quello che si registra in periferia: poca scuola, molta strada, troppi social. Una vita in un flipper, lì tra i vicoli di Montecalvario: su e giù in sella a uno scooter, in attesa del banco di prova. Il test che conta, la peggiore linea d’ombra possibile: quella con l’arma in pugno, per una “stesa” o per un agguato mirato, quanto basta a cambiare vita e a dirsi maturo per fare una delle poche cose che contano da queste parti.

Quale? Stringere il ferro caldo tra le mani, incrociare lo sguardo di quello che hai di fronte, incutere terrore. Non c’entrava niente con la camorra, ma era un ragazzo perbene, estraneo ad ogni forma di illegalità, Simone Frascogna. Aveva 19 anni, quando è stato ucciso a coltellate. Meno di un anno fa a Casalnuovo, aggressione senza motivo, consumata da due minori e un 18enne. Una mattanza di giovanissimi, città armata, nell’indifferenza generale. 

© RIPRODUZIONE RISERVATA