Racket a Napoli, le minacce del boss: «Tangenti per le armi siamo un clan in guerra»

Racket a Napoli, le minacce del boss: «Tangenti per le armi siamo un clan in guerra»
di Leandro Del Gaudio
Mercoledì 11 Agosto 2021, 23:52 - Ultimo agg. 13 Agosto, 09:40
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Tira una brutta aria da queste parti. Bussano alle porte dei commercianti e impongono nuove regole: «I soldi a noi, non più a quelli di prima». Ma la motivazione (e la violenza) con cui vengono consumate le minacce estorsive non fa presagire nulla di buono: ci servono soldi per comprare le armi, perché siamo in guerra e dobbiamo fare la guerra. 

Sono queste le parole intercettate nel corso dell’inchiesta a carico di un nuovo presunto clan, che fa capo alla famiglia Scognamiglio, vero e proprio incubo di uno spaccato metropolitano che si estende dalla zona dei Colli Aminei a Miano e Piscinola. Sono finiti in cella tre presunti esponenti del gruppo, inchiodati da intercettazioni choc, frutto di una indagine condotta dalla Dda di Napoli. Avevano imposto tangenti da cinquemila euro al mese a un negoziante - il titolare di un bar - per recuperare (secondo la loro versione) un credito vantato di 125mila euro. Una vicenda che emerge dalle indagini condotte dal pm antimafia Maria Sepe, che da mesi sta battendo una zona dove si ripetono agguati e intimidazioni, stese e omicidi, sotto gli occhi di tutti. E nel silenzio generale, al punto tale che - come abbiamo raccontato la scorsa settimana sulle colonne di questo giornale - nessuno più denuncia o segnala i colpi messi a segno dalla camorra. Ma torniamo a al blitz messo a segno in questi giorni. Finiscono in manette Luca Isaia e Salvatore Ronga, ritenuti vicini al gruppo capeggiato da soggetti del calibro di Pasquale e Giovanni Scognamiglio (rispettivamente padre e figlio), indicati come i nuovi presunti boss dell’area.

Sono loro che avrebbero taglieggiato un commerciante con la richiesta estorsiva bloccata a quota cinquemila euro al mese ed è sempre dal loro gruppo che sono arrivate queste minacce: ci servono soldi per comprare armi, dobbiamo fare la guerra. 

Un tam tam che sta coinvolgendo un po’ tutti, qui a ridosso dei Colli Aminei, zona segnata in questa prima parte dell’anno da attentati esplosivi, raid e omicidi. Partiamo dalla prima domanda: guerra contro chi? Sempre a leggere gli atti degli arresti, la zona viene contesa da quelli del gruppo Cifrone, a loro volta qualche mese fa indicati come quelli di sopra Miano (da non confondere con i Balzano di Miano di sotto). Inchiesta condotta dalla Mobile del primo dirigente Alfredo Fabbrocini, che ha provato a scavare nei silenzi di un intero spaccato metropolitano. C’è una corsa alle armi - questo viene fuori - perché c’è una guerra per la conquista di un territorio che da sempre viene considerato una sorta di Eldorado della camorra napoletana. Viale Colli Aminei, con i suoi negozi e condomini borghesi, fino a Miano e Piscinola, con le piazze di spaccio che un tempo erano controllate dai Lo Russo. Ricordate cosa è accaduto alcuni mesi fa, in un negozio di bombole? 

Una esplosione dolosa, probabile attentato del racket in viale Colli Aminei. Poi omicidi e “stese”. Gli ultimi episodi non hanno fatto registrare neppure la classica telefonata anonima alla polizia, come in genere avviene in un territorio di camorra. Lo abbiamo scritto di recente: in quattro giorni, diversi attentati (volume di fuoco paragonabile a uno scenario di guerra), zero denunce. Neppure da parte di un uomo rimasto ferito (vai a capire se per caso o se fosse nel mirino), tanto che ha preferito curarsi in proprio, lontano da ogni drappello dello Stato. Poi l’agguato di via Teano, lo scorso giugno: è accaduto sotto gli occhi di decine di persone. Ucciso Antonio Avolio, intorno a mezzogiorno, in un corso trafficato e affollato, colpito per la sua ex affiliazione ai Lo Russo, da chi oggi punta a gestire affari illeciti e piazze di spaccio. C’è un retroscena in questo delitto: una ragazza ha filmato con il proprio cellulare i killer. Ne abbiamo parlato pochi giorni fa sul Mattino: era affacciata al balcone, ha avuto la prontezza di registrare le sagome di chi ha fatto fuoco, poi ha avuto paura ed è sparita. Si era diffusa la notizia del video e di una sua possibile testimonianza contro i killer, quanto basta a rendere necessario una sorta di chiarimento. Dopo qualche giorno, la donna è tornata in zona, ha mostrato il cellulare alle forze dell’ordine, dopo aver cancellato il video del delitto. Non ricordo niente - ha spiegato nel corso di una audizione - non ho nulla da mostrare, ho solo avuto paura e sono scappata.

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