Cuoncio cuoncio, si dice a Napoli, raddoppiando il termine per dargli più forza (luongo luongo, curto curto…). Andiamo con calma, mi raccomando, piano, senza fretta. Perché correre, col rischio di farsi male, o di sbagliare, se si può procedere accortamente, per anni, anzi per decenni? Venti, trent’anni: deviazioni stradali, restringimenti, lamiere, gru e betoniere, che ormai prendono il posto della conformazione originaria dei luoghi. Gente di trent’anni, che si è diplomata, si è laureata, ha fatto figli, e non ha mai visto quella strada senza il cantiere.
Il mondo muta intorno ma i lavori sono sempre in corso. Deve essere un elogio filosofico della lentezza, quello che investe i lavori pubblici della nostra regione. La lentezza è memoria, scriveva Milan Kundera, mentre l’oblio è velocissimo. A noi il cantiere piace godercelo, evidentemente. Tenerlo bene a mente. Cuoncio cuoncio, mi raccomando. Non ci facciamo male. Fa impressione vedere la data di inizio lavori di due opere che in questi giorni tagliano il nastro. Ieri, il presidente della Regione, De Luca, ha inaugurato il nuovo percorso archeologico e il Museo dell’Opera al Rione Terra a Pozzuoli. «Questo luogo diventerà un patrimonio storico come Pompei e Paestum – ha detto - e sarà uno dei poli di attrazione del turismo culturale italiano ed europeo perché qui c’è veramente qualcosa di unico al mondo».
Un concetto simile, nel 1989, fu espresso dall’allora presidente della Regione, Antonio Fantini. Quattro anni dopo, toccò a Nando Clemente dare il via ai primi cantieri. Da quel momento a Santa Lucia si sono succeduti sei presidenti, alcuni col doppio mandato. Oltre trent’anni di nastri tagliati.
L’anno prossimo sono 50 anni da quando l’antico rione popolare malridotto (“Una piaga non sanata”, lo definì Mario Sirpettino sul Mattino) fu sgomberato e murato per il pericolo del bradisismo. Da allora tanti progetti approvati, finanziamenti ottenuti, inaugurazioni a tappe, e ogni volta la magniloquente ammirazione di un “qualcosa di unico al mondo”. Ma di davvero unico al mondo, forse, abbiamo i nostri tempi. Scena simile per la stazione Duomo della metropolitana Linea Uno di piazza Nicola Amore. Il progetto firmato da Massimiliano Fuksas assieme alla moglie Doriana Mandrelli è datato 2004. È quasi maggiorenne. Naturalmente è la stazione più bella del mondo, ci mancherebbe. Ma si è fatta attendere come una star. Ci sono generazioni di laureati alla vicina Federico II che avranno uno choc quando quel cantiere sarà smantellato.
Le strade di Napoli, quando si completa un’opera pubblica, sono come un volto a cui togli una barba dopo anni. Ma come le barbe ricrescono, i cantieri si perpetuano. A Rione Terra si annunciano lavori per altri 50 milioni di euro. Dureranno altri decenni? Speriamo di no. Anche i lavori di recupero del tempio dei giochi Isolimpici del I sec. d.C., scoperto sotto la stazione Duomo della metro, continueranno. Chissà per quanto tempo. Inaugurazioni e finanziamenti sono notizie positive ma hanno una nota amara. La prima parola che spunta nei pensieri è: finalmente. Il Rapporto annuale dell’Agenzia per la Coesione Territoriale ha calcolato che le opere pubbliche con importi superiori a cento milioni hanno un tempo medio in Italia, tra le fasi di progettazione, affidamento e lavori che supera i 15 anni e 8 mesi. Uno studio della startup italiana Sensoworks, che si occupa di monitoraggio infrastrutturale, ha calcolato in Italia oltre 640 grandi opere incompiute. In Campania ne ha individuate 41. Ci mettiamo tanto, ci mettiamo troppo. La qualità della spesa è importante ma lo è anche la tempestività degli interventi. L’Unione europea ce lo ricorda anche di recente con il Pnrr, da realizzare tutto e per intero entro il 2026: non conta più solo fare ma fare presto. Progettare una opera negli anni Novanta - quando a malapena si vedevano i primi cellulari - e inaugurarla nel 2021 – quando con un’app ti organizzi un viaggio in 2 minuti - significa arrivare sempre tardi, sempre dopo. Una vita con l’affanno ma, mi raccomando, cuoncio cuoncio.
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