Da Capri a Massa Lubrense: attenzione a grotte e vortici

Da Capri a Massa Lubrense: attenzione a grotte e vortici
di Antonino Pane
Lunedì 14 Agosto 2017, 00:00
4 Minuti di Lettura
«La secca delle formiche non è una zona dove le immersioni presentano particolari difficoltà. Ci sono altre zone di Ischia come lungo la costa della penisola sorrentina ben più pericolose». Antonino Miccio, direttore ad interim delle due aree marine protette costiere del Golfo di Napoli, quella del Regno di Nettuno a Ischia e quella di Punta Campanella in penisola sorrentina, è in contatto diretto con gli uomini della Capitaneria di porto per cercare di capire cos’è realmente successo alla secca delle Formiche.

Direttore, se non era un’immersione difficile, allora un malore?
«Lo sapremo a conclusione delle indagini. Posso solo dire che quella zona non la consideriamo tra le più pericolose perché i fondali sono poco limosi e, quindi, la visibilità resta sempre discreta».

Ma era una immersione autorizzata?
«I diving chiedono e ottengono, una volta verificati i requisiti da parte della Guardia Costiera, una autorizzazione annuale. Le aree marine protette fanno riferimento al nulla osta della Capitaneria competente territorialmente prima di rilasciare le autorizzazioni che, comunque, devono riguardare zone non pericolose».

Questo significa che in zone ritenute pericolose non le rilasciate?
«Esatto».

E quali sono queste zone?
«Innanzitutto le grotte. E poi le strettoie, vale a dire i canali che si sono formati con scogli poco distanti dalla costa, e ancora i capo, i tratti di mare dove la costa si proietta sul mare e crea vortici di corrente pericolosissimi. Naturalmente cerchiamo anche di non rilasciare autorizzazioni nelle zone particolarmente battute dalla nautica da diporto».

Cominciamo dalle grotte.
«Sono tante sia lungo la costa isolana che in penisola sorrentina e a Capri. Per fortuna molte sono poco profonde e con fondali di ghiaia. La costa caprese, ad esempio, non ha fondali particolarmente sedimentati. Ce ne sono alcune, però, che mettono i brividi, come la grotta di Mitigliano a Massa Lubrense che va giù per venti metri e ha un fondo particolarmente limoso, dove basta pinneggiare per qualche istante per perdere l’orientamento. Il limo è una delle cause principali delle tragedie nelle immersioni: nel Cilento, ad esempio, ci sono state alcune disgrazie dovute alla scarsa visibilità».

Poi le strettoie.
«Pericolosissime. Il mare in superficie non mostra segni di particolari difficoltà nel nuoto. In realtà si creano con il cosiddetto effetto Venturi, delle correnti, dei veri e propri vortici che diventano pericolosissimi in immersione. A Ischia i tratti di costa interessati da questo fenomeno sono pochi. Tra Sorrento e Positano, invece, i pericoli sono molto più evidenti. La zona dello scoglio a penna, ad esempio, accanto alla baia di Ieranto, dove le correnti sottomarine sono veramente molto pericolose. Accentuate nei mesi estivi, in maniera rilevantissima, anche dal moto ondoso provocato dal continuo passaggio di natanti».

E i capo, vale a dire i promontori.
«Sono le zone più rischiose in assoluto. Cerchiamo di scoraggiare immersioni ma le richieste sono tantissime perché si tratta di aree particolarmente interessanti dal punto di vista naturalistico. A Ischia, ad esempio, i punti di maggiore interesse da parte dei subacquei sono proprio in prossimità dei capo. La punta San Pancrazio come la secca del Bellommo, ad esempio, sono zone tra le più gettonate e che, in particolari condizioni meteomarine, sono attraversate da forti correnti».

E sul versante Sud del Golfo?
«Certamente il luogo più pericoloso è Punta Campanella. Le particolari caratteristiche morfologiche della costa danno origine a vortici di corrente estremamente pericolosi. In questa zone non rilasciamo autorizzazioni se non in particolari condizioni per specifiche richieste di studio».

Ma quante autorizzazioni si rilasciano in un anno?
«Nelle due aree marine protette siamo a cinquemila tuffi più o meno, equamente distribuiti tra Regno di Nettuno e Punta Campanella. Bisogna tener conto del fatto, però, che non tutti chiedono l’autorizzazione. Una statistica elaborata in base ai dati che abbiamo raccolto dice che ci sono almeno altri cinquemila tuffi che sfuggono al controllo».

Insomma diecimila persone all’anno si immergono.
«Esattamente. E potrebbero essere molti di più. Non a caso, infatti, con la Regione stiamo valutando la possibilità di far partire un’offerta turistica ad hoc, centrata proprio sulla possibilità di effettuare immersioni. Naturalmente il tutto gestito da istruttori particolarmente preparati e con il massimo rispetto di tutte le norme di sicurezza».

Turismo subacqueo gestito direttamente dalle aree marine protette?
«Certamente le aree marine avranno un ruolo nella promozione. Non bisogna dimenticare, infatti, che è proprio grazie alle aree marine che i nostri fondali sono diventati particolarmente attraenti. Ci sono zone nelle due aree dove si può assistere ad una totale rinascita dell’ecosistema con specie che si ritenevano estinte nel Golfo di Napoli. Questo è un patrimonio di inestimabile valore che dobbiamo tutti insieme tutelare e conservare. Le aree marine protette, osteggiate nella fase della loro istituzione, sono diventati presidi naturalistici di primaria importanza e proprio la crescente richiesta di immersioni è la prova che il lavoro fatto ha prodotto e sta producendo risultati importanti».

La conservazione coniugata al godimento.
«Infatti. Noi abbiamo il compito di tutelare i nostri paradisi sommersi ma anche di farli godere. E le immersioni sono sicuramente un modo per vivere attimi indimenticabili. Il tutto, ripeto, nel massimo rispetto delle norme di sicurezza, comprese quelle che riguardano lo stato di salute delle persone che devono immergersi».
 
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