Cardarelli, bloccati gli appalti d’oro: indagini su altre gare degli ultimi tre anni

Cardarelli, bloccati gli appalti d’oro: indagini su altre gare degli ultimi tre anni
di Leandro Del Gaudio
Lunedì 25 Ottobre 2021, 00:00 - Ultimo agg. 26 Ottobre, 07:21
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Appalti d’oro bloccati, verifiche su altre gare predisposte negli ultimi tre anni dai due funzionari finiti agli arresti venerdì mattina. Cardarelli, week end di lavoro dopo la retata dei 46 arresti su presunti appalti truccati e in odore di camorra. Un intero spaccato amministrativo viene passato al setaccio, come assicura al Mattino il manager del Cardarelli Giuseppe Longo: «Una revisione doverosa, che si innesta in un solco che va avanti da tempo, in stretta sinergia con la Prefettura e con l’autorità giudiziaria». Dunque, uno screening a partire dal ruolo svolto dai funzionari finiti ai domiciliari, che sono stati sospesi in attesa degli esiti del processo, mentre si fanno i conti con gli appalti d’oro finiti in naftalina: «Un mese fa ho rescisso il contratto dell’appalto per la ristrutturazione di sei padiglioni (oltre 47 milioni di euro di importo), anche sulla scorta di una interlocuzione con la Prefettura in materia di interdittiva antimafia. Al di là degli esiti giudiziari, resta il rammarico per il tempo perso, un finanziamento bloccato e un servizio mai reso ai cittadini». Ma chi sono i due funzionari coinvolti nelle indagini? E per quale motivo?

Ci sono alcuni ruoli in particolare, su cui si concentrano le indagini incrociate dei vertici amministrativi e (è logico pensare) degli stessi inquirenti della Procura: sono le attività lavorative svolte da Gennaro Stefanelli e da Cosimo Fioretto, entrambi finiti agli arresti domiciliari per un presunto caso di corruzione, in uno scenario in cui - è bene sottolinearlo - il gip ha rigettato la richiesta di carcere, non ravvisando contatti tra il funzionario pubblico e la camorra del Vomero. Ma proviamo a ricostruire le mosse di inquirenti e ispettori interni al Cardarelli, a partire dalle carte su cui i due pubblici ufficiali hanno messo le mani nella loro attività lavorativa: Gennaro Stefanelli è indicato come componente dell’ufficio tecnico di una commissione di gara bandita dal Cardarelli per la concessione quinquennale dei distributori automatici; Cosimo Fioretto per il suo ruolo di rup (responsabile unico del procedimento) nel corso della stessa gara. Per gli inquirenti avrebbero incassato 5000 euro (Stefanelli) e 15.000 euro (Fioretto) per agevolare la Ati rappresentata dalla Bamar Italia e Gemearo, attraverso la mediazione di un sindacalista in pensione (Antonio Pesce), garantendo il successo in sede di apertura delle buste a imprenditori ritenuti vicini alla camorra del Vomero (tra questi i cugini Sacco, attualmente in cella).

A leggere le oltre 400 pagine della misura cautelare firmata dal gip Claudio Marcopido, il metodo usato per condizionare la gara è stato elementare ed efficace: bocciando l’offerta di un’azienda concorrente, predisponendo atti «ideologicamente e materialmente falsi», al punto da bocciare la Sigma (azienda concorrente), escludendola dalla gara per una presunta offerta anomala. 

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Tutto chiaro? Facile immaginare che ora al vaglio della direzione del Cardarelli ci siano atti e passaggi amministrativi riconducibili al lavoro svolto nel corso degli ultimi tre anni da parte dei pubblici ufficiali a vario titolo coinvolti in questa storia di presunte manomissioni.

Indagini parallele, si diceva, da parte dell’azienda sanitaria e della stessa Procura di Napoli, che fanno i conti anche con un altro nodo da sciogliere: è il fattore tempo, quello legato al possibile rallentamento delle opere pubbliche finite al centro del presunto pressing estorsivo. 

È il capitolo parco artistico urbano, quello che da 2016 avrebbe dovuto abbellire i contorni del Cardarelli. È il terzo grande appalto finito al centro delle indagini (dopo quello dei sei padiglioni, per un importo da 47 milioni di euro; quello delle macchinette per gli snack), che riguarda un’opera pubblica non ancora realizzata. Un parco artistico, importo da 2.849.000, per il quale i titolari di una ditta hanno versato una tangente da 30mila euro. A chi? Ai vertici del clan Cimmino (rappresentati da Giovanni Caruson e Andrea Basile) e a quelli del clan Ferraiuolo di Caivano, dove la ditta ha la sua sede (oltre a un ufficio di rappresentanza in piazza dei Martiri). Una tangente mai denunciata, che potrebbe spingere gli inquirenti (e la stessa pubblica amministrazione sanitaria) a rivedere il protocollo di lealtà istituzionale previsto per questo tipo di contratti. Un appalto che - vale la pena sottolineare - ha svincolato soldi pubblici (e tangenti) per un’opera che non è ancora conclusa e che rischia di rimanere congelata ancora per molto tempo. 

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